Resta carica l’arma Iva, può portare 6 miliardi

by Sergio Segio | 1 Settembre 2011 7:13

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ROMA – Sembra il gioco delle tre carte. Anzi delle tre aliquote dell’Iva. Alla fine l’ipotesi di innalzamento dell’Iva dell’1% è ritornata in ballo, anche se il sottosegretario al ministero dell’Economia Luigi Casero continua a negare che il governo stia lavorando su questo fronte. Eppure quello dell’Iva è un piatto che farebbe gola a molti, in primis a Berlusconi. Appoggiato da Confindustria, Cisl e Uil, Udc e Anci (Comuni). L’aumento può far incassare da un minimo di 4 miliardi (aumento dal 20 al 21% della sola aliquota principale) ad oltre 6 miliardi (aumento di tutte e tre). Se tutti pagassero, visto che è l’imposta più evasa in Italia: nel 2010 il Fisco ha scoperto pagamenti omessi per sei miliardi. I primi ad evadere sono gli autonomi, solo il 12,5% di loro la paga, contro il 50,3% dei dipendenti. Evasione fiscale, inflazione e contrazione dei consumi sono le preoccupazioni del fronte del no, guidato dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti, da Bossi, da Confcommercio e dalle associazioni dei consumatori. In prima battuta Tremonti l’aveva spuntata con un rinvio del ritocco dell’imposta. Un rinvio, appunto. Meglio se nell’ambito dell’attuazione della delega fiscale, in cui il rialzo dell’Iva è già  previsto. In quel caso l’innalzamento potrebbe essere deciso senza passare dal Parlamento.
Sarebbero le famiglie ancora una volta a pagare. Si schierano quindi contro questa operazione Confcommercio e associazioni di consumatori. La Confcommercio è preoccupata per l’effetto depressivo sui consumi, causato da una lievitazione dei prezzi. E di conseguenza sulla crescita del Paese. Secondo i calcoli della confederazione avrebbe un impatto negativo sul Pil, che, in assenza di una compensazione Irpef, potrebbe ridursi di oltre l’1%. E il quadro non è dei più allegri, visto che l’Fmi ha rivisto al ribasso le stime di crescita dell’Italia, con un incremento di Pil stimato per il 2011 dell’0,8%. Confcommercio fa notare inoltre che degli oltre 93 miliardi complessivi di gettito Iva, 90 derivano dall’aliquota ordinaria (20%) e da quella intermedia (10%) e più del 70%, cioè quasi 66 miliardi, viene proprio dai consumi delle famiglie. Ancora una volta quindi si taglierebbero le gambe alle famiglie. Che secondo il Codacons pagherebbero 290 euro in più all’anno. I settori più penalizzati sono quelli dei beni di largo consumo, quelli su cui grava l’Iva ordinaria al 20% e in cui rientrano, per esempio, anche le automobili, nuove e usate. Ma anche l’intermedia – quella al 10% che si applica su elettricità  domestica, farmaci, seconda casa, frutta e carne – e quella al 4% su prima casa, libri, giornali, pane, latte, formaggio, potrebbero non uscire indenni dalla manovra, per effetto dei tagli lineari che potrebbero essere operati sulle agevolazioni. Aumentare solo sull’Iva sui beni di lusso? Un’altra ipotesi. Un altro giro di carte.

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