Referendum, no di Casini. E Fli si spacca

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ROMA – Ieri hanno firmato il referendum per cancellare il “Porcellum” Piero Fassino, Vasco Errani e Pier Luigi Castagnetti. Hanno annunciato la loro adesione Matteo Renzi e Debora Serracchiani. Spinge per un sostegno di tutto il partito il capogruppo alla Camera Dario Franceschini. E soprattutto sono scesi in campo i dirigenti del Pd toscano ed emiliano. A partire dai vertici regionali. Trascinando il resto del partito dal Nord al Sud nell’appoggio al referendum. Nonostante le cautele di Pierluigi Bersani e l’opposizione di dalemiani ed ex popolari. E l’avvertimento di Pier Ferdinando Casini che si schiera apertamente contro un referendum che potrebbe gettare al vento le ipotesi di alleanza fra il Pd e l’Udc.
Anche per questo l’atteggiamento da assumere sul referendum suscita nel Pd un vivace dibattito e divide anche i finiani. Una prima verifica delle posizioni interne ai Democratici si avrà  oggi pomeriggio quando si riunirà  il coordinamento del partito per discutere di manovra e caso Penati. Massimo D’Alema, nel frattempo ha già  detto come la pensa: il referendum può essere uno stimolo – ha detto al Messaggero – ma non voglio tornare al Mattarellum; la legge si deve fare in Parlamento e la base deve essere la proposta approvata recentemente dal partito.
La posizione del presidente del Copasir è condivisa da Luciano Violante. Il responsabile del Pd per le riforme pensa che «il ritorno al Mattarellum non è l’obiettivo del Pd anche perché con altissima probabilità  il quesito verrebbe rigettato dalla Corte Costituzionale». Dunque, conclude Violante «chiedere di raccogliere le firme sapendo del probabile rigetto della Corte sa un po’ di presa in giro nei confronti dei cittadini».
A Violante risponde il prodiano Mario Barbi. Chi prende in giro gli italiani?, chiede Barbi. Noi referendari o Violante, convinto che la Corte boccerà  il referendum e soprattutto che «in questo Parlamento sia possibile approvare la singolare proposta di legge elettorale del Pd con doppio turno, ma anche proporzionale con sbarramento e infine con diritto di tribuna».
Che la vicenda del referendum si arenerà  di fronte alla Consulta è convinto anche Casini. Il leader dei centristi, sostenitore del modello tedesco, ieri, di fronte alla marea montante del sì al referendum nel Pd, ha offerto una sponda a Bersani. Casini si è detto infatti disponibile a discutere rapidamente del progetto presentato dal Pd. Progetto che prevede il doppio turno uninominale con recupero proporzionale e il diritto di tribuna.
La convergenza sul no al referendum dei dalemiani e di Casini, è rafforzata da un altro niet ai quesiti, quello che arriva anche dall’area popolare guidata da Beppe Fioroni. E non a caso ieri Rocco Buttiglione aveva avanzato l’ipotesi che dietro il sostegno al referendum di una parte del Pd ci fosse l’aspirazione a dare vita ad una nuova Unione.
La vicenda referendaria, intanto provoca contraccolpi anche in Futuro e libertà . Ieri, dopo l’Ufficio politico del partito, Fabio Granata aveva annunciato: «Futuro e Libertà  vuole cambiare questa legge elettorale che non dà  possibilità  di scelta al cittadino. Per questo sosterremo il referendum abrogativo dell’attuale legge elettorale». Posizione rettificata, se non smentita subito dopo da Italo Bocchino: «C’è il convincimento – spiega il numero due di Fli – che l’attuale legge elettorale sia inadeguata e da superare anche se non è il referendum lo strumento più adatto in una materia dove partiti e Parlamento dovrebbero prendersi le proprie responsabilità ».


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Signor Presidente, Lei non può. Lei non può congelare d’autorità una delle possibili soluzioni al problema del governo del Paese, quella in atto, come se fosse l’unica possibile, come se fosse prescritta da una volontà superiore o come se fosse oggettivata dalla realtà storica. Lei non può, perché altrimenti la democrazia verrebbe sospesa. Lei non può trasformare una Sua, e di altri, previsione sui processi economici in un impedimento alla libera dialettica democratica.

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