Ratzinger: «Mai nel nome di dio»

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Il papa ricorda gli attentati alle Torri gemelli dell’11 settembre e le «molte vittime innocenti di quel brutale attacco» ma si dimentica di tutto il resto che da quell’evento è scaturito: della «guerra al terrorismo» proclamata da Bush, degli attacchi all’Afghanistan e all’Iraq e delle centinaia di migliaia di vittime di questi due conflitti voluti dagli Usa, innocenti come quelli delle Twin towers.

«La tragedia di quel giorno è aggravata dalla pretesa degli attentatori di agire in nome di Dio», scrive Benedetto XVI in una lettera inviata all’arcivescovo di New York, Timothy Dolan, per il decimo anniversario dell’11 settembre. «Ma va detto, senza mezzi termini, che nessuna circostanza può mai giustificare atti di terrorismo». Quindi l’elogio al popolo statunitense «per il coraggio e la generosità  che ha dimostrato nelle operazioni di soccorso e per la sua prontezza nell’andare avanti con speranza e fiducia». Nemmeno una parola per condannare le guerre che negli anni successivi gli Stati Uniti hanno combattuto, e combattono ancora oggi, nonostante i nemici di allora – Osama Bin Laden e Saddam Hussein – siano stato eliminati e gli «Stati canaglia» – Afghanistan e Iraq – ridotti a poco più che protettorati Usa, benché tutt’altro che in pace.
Non si tratta di un’amnesia, bensì di un ulteriore segnale di una Chiesa di Roma sempre più filo-occidentale. Eppure dieci anni fa papa Wojtyla – che sicuramente non può essere sospettato di antiamericanismo – all’indomani dell’11 settembre, aveva fatto appello agli Usa a «non cedere alla tentazione dell’odio e della violenza». Nei mesi successivi si era nettamente schierato contro l’eventualità  di un attacco all’Iraq e il 14 febbraio del 2003, e il giorno prima delle grandi manifestazioni contro la guerra in tutto il mondo (quelle che spinsero il New York Times a scrivere che il movimento pacifista era «la seconda superpotenza mondiale») aveva ricevuto in Vaticano Tarek Aziz, vicepremier dell’Iraq che un mese dopo sarebbe stato attaccato.
Fanno eco a quelle di papa Ratzinger le parole dell’arcivescovo di New York: «I cittadini di New York non sono rimasti a rigirarsi nel dolore e nella rabbia, ma quasi subito hanno cominciato ad aiutare e a consolare quanti avevano bisogno», ha dichiarato alla Radio Vaticana. «Il modo migliore per avere la nostra rivincita sui terroristi è dimostrare che niente può distruggere lo spirito che è dentro il popolo americano».
Un undici settembre diverso è stato invece quello di Pax Christi, della Tavola della pace, di Libera e di Paeceful tomorrows (l’associazione Usa dei familiari dei caduti delle Torri gemelle), trascorso a Kabul «insieme alle vittime di una guerra infinita», a cui è stata consegnata la “Luce di Assisi”, la lampada dei francescani, simbolo di una pace ancora tutta da costruire. «Dieci anni fa gli avevamo promesso libertà  e democrazia, ma abbiamo finito con l’aggiungere altra violenza, altro dolore, altri lutti», dice Flavio Lotti, coordinatore della Tavola per la pace. E don Renato Sacco di Pax Christi dice al manifesto: «La guerra in Afghanistan è stata una vendetta per l’11 settembre, non ci sono altre definizioni possibili. Non solo non ha risolto nulla, ma anzi ha moltiplicato le vittime. Averle incontrate ci ha fatto vedere la gravità  di questa tragedia». E al ritorno da Kabul chiedono di ritirare il contingente militare dall’Afghanistan e di elaborare una strategia «non più basata sul paradigma della sicurezza militare ma su quello della sicurezza umana».

Coreis a Vicenza

Il Coreis (Comunità  religiosa islamica italiana) ha commemorato ieri a Vicenza gli attentati dell’11 settembre. Alla cerimonia di «solidarietà  con il popolo e le istituzioni americani, di dialogo per la coesione tra le civiltà  e di denuncia di ogni strumentalizzazione violenta della religione» presieduta dall’imam Yahya Pallavicini, hanno partecipato anche il console Usa, Snelsire, e il sindaco di Vicenza, Variati. «Proprio dalla città  che ospita una delle più importanti basi militari Usa d’Europa – ha affermato il responsabile per il Triveneto del Coreis – vorremmo lanciare un messaggio per tutelare il patrimonio comune dei valori democratici, della stabilità  e della convivenza fra Oriente e Occidente».


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