“Un governo nuovo, più austerità  e crescita poi l’Europa vi aiuterà ”

by Sergio Segio | 2 Settembre 2011 9:51

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CERNOBBIO – «Questa saga della manovra, l’incredibile balletto di misure annunciate e poi ritirate, dimostra che lo scetticismo crescente del governo tedesco e della stessa commissione Ue verso l’Italia è ben fondato. E perdere definitivamente la fiducia dell’Europa avrebbe conseguenze devastanti per il vostro Paese».
Nouriel Roubini, economista della New York University, oggi sarà  fra i relatori dell’edizione numero 37 del Forum The European House-Ambrosetti, «Lo Scenario di oggi e di domani per le strategie competitive». E di Europa stavolta Roubini, che dall’anno scorso ha una partnership con Ambrosetti per lo scambio di studi e ricerche, parla con passione: «Non potete avere il solo mantra della riduzione del debito, la cosa più importante è pensare allo sviluppo».
Di cosa ha bisogno l’Italia?
«Innanzitutto di un altro governo. Quello attuale ha perso qualsiasi credibilità . E senza credibilità  è difficile che la Germania dia il via libera agli eurobond o al rafforzamento dell’Efsf, il fondo salvastati che ne è una fattispecie. Un altro governo, che non potrebbe essere che un esecutivo tecnico, deve varare con convinzione e coerenza il necessario mix di riforme strutturali e misure di austerity. I ministri attuali si dimostrano totalmente incapaci di forzare le resistenze delle singole lobby che fatalmente si oppongono a qualsiasi misura.
Quello che sembra incredibile dall’esterno è che ci si sbrani per piccoli interventi, che sommati non arrivano allo 0,3% del Pil.
Perciò sottolineo la mediocrità  di tutta la compagine, guidata peraltro da un personaggio completamente screditato: stessero discutendo di veri cambiamenti della struttura economica, di passi epocali che imprimono una svolta decisiva all’aspetto del Paese, potrei capirlo. Ma si litiga sugli spiccioli, su piccoli provvedimenti spezzettati e privi di un disegno unitario. Quando si tratta di affrontare problemi grossi come l’evasione fiscale, lo si fa con esitazione, con mezze misure, con i concordati mascherati, come se non ci si credesse. Di fronte a questo, cosa devono pensare gli organismi internazionali e i mercati? Non c’è la forza politica per intervenire su nessuna questione».
Lei parlava degli eurobond e del fondo salvastati, ma non è detto che ci si debba ricorrere.
«La rivolta scoppiata in Germania quando la Merkel ha detto che si può pensare all’incremento del fondo è un indicatore del sentiment verso il vostro Paese. Se offrirete un quadro più coerente e solido, se darete un aspetto complessivo più affidabile e annuncerete misure efficaci, l’Unione europea e i Paesi più forti di essa saranno disponibili ad aiutarvi. Che si debba ricorrere a una serie di sacrifici categoria per categoria, a seconda della capacità  contributiva, è inevitabile. Le riforme strutturali sono parte integrante di questi sacrifici, perché dovrebbero comprendere più libertà  di licenziamento sia nel pubblico che nel privato, oltre che la possibilità  di chiudere le strutture inefficienti. I mercati chiedono uno, due, dieci chili di carne, dovete accettarlo. Ma l’Europa deve essere pronta ad intervenire se necessario in vostro soccorso: solo con un rafforzamento complessivo i Paesi troveranno mercati di sbocco, occasioni di cooperazione funzionali, opportunità  da cogliere, insomma non vedranno frustrati gli sforzi di risanamento interno, ammesso che ci siano».
C’è secondo lei questa volontà  da parte dell’Europa, questo spirito di solidarietà , questo sentirsi parte di un disegno corale? «Dipende dall’immagine che i vari Paesi, e ora parliamo dell’Italia, riescono a dare. All’interno delle istituzioni europee comunque bisogna fare passi avanti. I problemi nessuno può risolverli da solo. Ognuno deve fare la sua parte, i governi per primi, ma l’Europa deve scuotersi. La Bce per esempio ha fatto un errore gravissimo alzando nella prima metà  del 2011 i tassi dall’1 all’1,5% e tenendoli su tale livello. Grecia e Portogallo hanno avuto la mazzata finale, se in Italia spirava qualche vago anelito di ripresa, è stato soffocato sul nascere. Perfino la Germania ne ha sofferto. Sembra che la banca non riesca ad accettare il ruolo di “lender of last resort” quale invece dev’essere in un’unione monetaria degna di tal nome. Gli interventi che così faticosamente ha intrapreso sui titoli italiani e spagnoli, sembra che li faccia pesare, sarà  tanto se si arriverà  a 100 miliardi di euro, oltretutto con la postilla della “sterilizzazione”, il meccanismo che fa sì che i fondi non vengano realmente immessi nel sistema ma tenuti nelle casse della banca. Invece dovrebbe fare come la Fed con il suo quantitative easing duemila miliardi di fondi freschi elargiti e altri in vista».
Trichet dice che le missioni delle due istituzioni sono diverse, che la Bce deve solo controllare la massa monetaria e la Fed invece può pensare allo sviluppo.
«Mi sembrano tutte balle confezionate per l’occasione. Ma lei se lo ricorda quando proprio Trichet diceva, nel pieno della bufera finanziaria, che la Bce era pronta ad inondare il mercato di liquidità  per evitare casi come Lehman e per permettere un ordinato riassetto del sistema bancario? Non era politica attiva? E poi, ammettiamo pure che voglia controllare l’inflazione: è stata a lungo del 2%, ora è tollerabile che per cinque-dieci anni si possa arrivare al 2,5 per risolvere la crisi. Le medie vanno viste sul lungo periodo».

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