“Un governo federale europeo per economia, difesa e diplomazia”

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ROMA – «Possibile mai che siano i banchieri a invocare gli Stati Uniti d’Europa mentre i governi sanno solo tentennare e prendere tempo?». Emma Bonino, vicepresidente del Senato, non ha perso la passione europeista che ha animato i suoi anni come membro della Commissione a Bruxelles. E, di fronte alla crisi che stringe l’Europa, lancia l’idea di una «federazione leggera» che metta in comune una serie di politiche, in primo luogo quella di bilancio e fiscale.
I banchieri sono diventati improvvisamente federalisti?
«Per forza di cose. George Soros, Jean Claude Trichet, Mario Draghi, Jacques Attali, ma perfino Gordon Brown, l’Economist e lo stesso Fondo Monetario Internazionale hanno cominciato a dire, di fronte alla profondità  di questa crisi dell’euro, che bisognerebbe affiancare alla Banca Centrale Europea un ministero delle Finanze dell’Unione».
Ma questa è anche la proposta di Merkel e Sarkozy. E sarà  all’ordine del giorno del prossimo vertice dei capi di governo dell’Eurozona, a metà  ottobre.
«Il rischio però è che, ancora una volta, si arrivi ad una soluzione pasticciata, tutta intergovernativa. Una specie di Fondo monetario europeo senza nessun tipo di controllo democratico. È ormai chiaro a tutti che da questa crisi non si esce senza un governo comune dell’economia, altrimenti la Germania e gli altri paesi del nord Europa non accetteranno mai di garantire con i soldi dei loro contribuenti gli eurobond dai rischi che qualche paese non sia più in grado di onorare i propri impegni. Gli eurobond si possono fare soltanto se siamo pronti a rinunciare a un pezzo non piccolo di sovranità  nazionale a favore di una politica fiscale europea. Ma se si cede sovranità , occorre che il Parlamento europeo, in qualche nuova configurazione, possa esercitare un controllo democratico in sostituzione dei parlamenti nazionali».
Lei cosa propone di nuovo?
«Alla soluzione intergovernativa dobbiamo contrapporre una soluzione federale. Ma la Federazione europea che sarebbe realisticamente giusto fare oggi, lungi dall’essere un superstato, sarebbe al contrario una “Federazione Leggera” che assorbe e spende attorno al 5% del Pil europeo: 6-700 miliardi di euro che servirebbero a finanziare una serie di politiche».
Quali?
«A mio avviso dovrebbero essere la difesa, la diplomazia (compresi gli aiuti allo sviluppo e quelli umanitari), il controllo delle frontiere e dell’immigrazione, la creazione delle grandi reti infrastrutturali europee, alcuni programmi di ricerca scientifica di grande respiro e gli aiuti alle regioni più povere e in ritardo di sviluppo».
Ma che c’entrano difesa e politica estera con la crisi economica? E perché i governi già  restii a delegare poteri in materia economica dovrebbero rinunciare anche a questo?
«Ma perché anche questo è un problema economico. Oggi, per esempio, i 27 Paesi europei spendono 250 miliardi all’anno per tenere sotto le armi due milioni di militari che non hanno praticamente nessuna capacità  operativa. Non possiamo più permettercelo. Né possiamo permetterci di moltiplicare per 27 ambasciate e sedi diplomatiche. Ci sono questioni che ormai possono essere affrontate solo a livello comune».
I referendum in Francia e Olanda hanno già  affossato il progetto di costituzione europea, che pure era molto più timido. Perché adesso la gente dovrebbe accettare quello che ha rifiutato qualche anno fa?
«Perché ora la situazione è drammatica. Negli ultimi anni solo i radicali e qualche federalista superstite, hanno sostenuto che era una follia creare una moneta comune lasciando che ogni stato membro decidesse in assoluta autonomia la propria politica fiscale e di bilancio. Oggi il prezzo di questa follia è diventato evidente a molti. Per tutto il dopoguerra è stata l’economia a guidare il processo di integrazione politica dell’Europa. Oggi integrare politicamente l’Europa è la condizione per impedire alla sua economia – al nostro benessere – di disintegrarsi. L’unica strada da battere verso un’Europa federale, oggi, è creare un consenso popolare attorno a questa idea. Bisogna allora che la parte più illuminata del nostro continente la smetta di partire battuta, di tremare di fronte a “veri finnici” o a madame Le Pen. Si dia coraggio e si appelli finalmente ai cuori e alle menti dei “veri europei”. Non c’è più tempo da perdere».


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