Quel falco che parla per la Germania «ortodossa»

by Sergio Segio | 10 Settembre 2011 6:35

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Da ieri una cosa è evidente: la Banca centrale europea (Bce) non è più l’erede spirituale della tedesca Bundesbank. Le dimissioni di Jà¼rgen Stark dal direttorio della banca di Francoforte sono, da questo punto di vista, un colpo serissimo alla reputazione della sola istituzione federale dell’Europa. Soprattutto in Germania, dove la continuità  tra Bundesbank e Bce fu una delle condizioni poste per accettare la fine del marco e la nascita dell’euro. Il gesto di Stark è rigido e gravido di conseguenze. Non può, però, essere letto come un’iniziativa isolata. E non solo perché arriva dopo le dimissioni, a inizio anno, di un altro banchiere centrale tedesco di grande peso, Axel Weber, dalla corsa per il vertice della Bce.
È che, da qualche settimana, in Germania si sta cementando un fronte contrario a scorciatoie di qualsiasi genere nei salvataggi dell’euro, nella convinzione che scelte non rigorose — come l’acquisto di titoli di Stato di Paesi in difficoltà  da parte della Bce — portino inevitabilmente al disastro della moneta. Ne fanno parte un buon numero dei politici conservatori dell’Unione Cdu-Csu e del Partito liberale, oggi assieme nel governo Merkel, molti alti funzionari dell’amministrazione pubblica, la Bundesbank a cominciare dal suo presidente Jens Weidmann, una parte del mondo economico e industriale, numerosi economisti influenti. È la coalizione degli ortodossi, difensori del modello tedesco di stabilità  finanziaria. Da giorni discutono, si incontrano, prendono posizioni pubbliche. Mercoledì scorso, per dire, i giovani imprenditori hanno proiettato su muri della Cancelleria di Berlino la scritta «Euro-Rettung: So nicht», salvataggio euro: non così.
Stark, come dice il nome, non è una viola mammola, un banchiere che si piega al vento: è uomo di opinioni e di gesti forti. Secondo i suoi critici, anzi, fin troppo rigido. Al punto che, nel 1996, l’allora ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi evitò di stringerli la mano perché — a quei tempi Stark era un funzionario del governo — si era opposto strenuamente al rientro della lira nel Sistema monetario europeo. Le dimissioni di ieri, motivate quasi certamente dalla sua contrarietà  agli acquisti di titoli di Stato italiani e spagnoli da parte della Bce, sono però tutto meno che una scelta umorale: nascono da convinzioni che sono alla base della stabilità  economica e finanziaria della Germania post bellica.
«Non è nei compiti della banca centrale finanziare i deficit pubblici, o abbassare i costi degli interessi sul debito di uno Stato», ha detto nei giorni scorsi al quotidiano austriaco Die Presse. In questo perfettamente in linea con i principi tradizionali della Bundesbank. Espressi in modo allarmato pochi giorni fa sulle colonne del Financial Times da un altro ex membro del consiglio esecutivo della Bce, Otmar Issing. «Un’unione monetaria con un euro stabile — ha spiegato Issing — può sopravvivere solo se l’indipendenza della banca centrale è pienamente rispettata. Ciò implica che la Banca centrale europea si astenga da azioni di politica fiscale». Detto diversamente, gli acquisti di titoli di Stato sui mercati sono letti dalla coalizione tedesca pro stabilità  come «una mossa sulla strada scivolosa verso un regime di indisciplina di bilancio annegando Paesi fino a questo momento solidi nel pantano dell’iperindebitamento».
La politica della Bce, difesa vivacemente dal suo presidente Jean-Claude Trichet giovedì, per Stark e compagni costituisce invece un rischio simile a quello posto dagli Eurobond, un azzardo morale destinato a permettere ai Paesi ad alto debito di indebitarsi ancora di più, coperti dalla Bce o dalla Germania. L’unica soluzione — dice questo fronte degli ortodossi — è un governo europeo dell’economia ma scelto democraticamente dai cittadini e fondato su regole e sanzioni certe contro chi vive in deficit perenne. Ciò a cui cercano di lavorare Angela Merkel e il suo ministro delle Finanze Wolfgang Schà¤uble.

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