by Sergio Segio | 21 Settembre 2011 6:49
Secondo il «Financial Times» anche Siemens di recente avrebbe rimpatriato oltre mezzo miliardo di euro di liquidità da Société Générale, parcheggiandoli presso la Bce. Il gruppo tedesco ha assicurato che la sua scelta non è stata dettata da timori su SocGen, benché l’istituto sia fra quelli investiti con maggiore violenza dalla marea montante della sfiducia: la banca guidata da Frédéric Oudéa ha una valutazione di Borsa ormai minima, appena tre volte gli utili attesi, e la sua assicurazione in Cds dal fallimento ha costi sempre più elevati.
Secondo «Dow Jones», anche Bank of China avrebbe congelato gli accordi sugli scambi di liquidità con SocGen, Bnp Paribas e Crédit Agricole. Ed è vero che le banche francesi sono molto esposte verso i Paesi in difficoltà nell’area-euro, ma il fenomeno non si limita a loro. I flussi dei depositi verso il nocciolo duro d’Europa, essenzialmente verso la Germania, rischiano di diventare i primi segni di (reversibili) incrinature nel sistema bancario del continente. In una nota di ieri, Goldman Sachs nota che gli istituti più solidi in Europa ormai hanno smesso di estendere prestiti anche a brevissimo termine alle banche percepite come più fragili. Per loro l’onere del finanziamento a breve è diventato punitivo. Secondo Goldman l’unico modo di garantirsi contro l’ipotesi di un’asfissia in qualche punto del sistema è che la Bce inizi a prestare denaro anche «overnight» (a un giorno) illimitatamente. Ormai certe spie di stress sono tornate ai livelli del 2008, l’anno dell’infarto di Wall Street: il premio di rischio nel credito fra banche oggi in Europa è alto come nelle settimane prima del crac Lehman. Per la Bce, che può fare ancora di più per sostenere il sistema, è il momento di chiedersi: se non ora, quando?
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