“Questione morale rivoluzionaria gli affari sono uguali a sinistra e a destra Bersani non poteva non sapere”

by Sergio Segio | 1 Settembre 2011 6:54

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Sindaco De Magistris, esiste la “diversità  etica” della sinistra?
«Storicamente è esistita. La sinistra più di ogni altra ha posto la questione morale come architrave dell’agire politico. Ultimamente la diversità  etica è molto scemata».
Molto quanto?
«Assai. La politica si è persa nei palazzi e l’affarismo l’ha corrotta. Il sistema degli affari funziona allo stesso modo a destra e a sinistra».
Populismo. Demagogia. Antipolitica.
«Conosco bene il ritornello di autodifesa della casta. E’ l’unico modo che è rimasto loro per preservare il loro potere: accusare chi non fa parte del loro gioco di antipolitica. Hanno una paura terribile di tutti coloro che non possono essere ricattati, provano a farlo e se non ci riescono tentano di gettare addosso la croce dell’antipolitica. Ma non c’è antipolitica nel Paese, c’è antipartitocrazia. Il sistema è ammalato gravemente e so quel che dico: il metodo è lo stesso ad ogni latitudine. Scambi fra pubblico e privato, mercato di consulenze, appalti, favori contro poltrone o credenziali. Poi non tutti lo adottano, certo. Come sempre la differenza la fanno le persone».
Esempi.
«Mi irrita la sorpresa che mostrano i leader di partito di fronte ai casi Bisignani, Penati e quant’altro. Penati era il capo della segreteria di Bersani. Bisignani l’uomo di fiducia di Gianni Letta a Palazzo Chigi. I leader sanno sempre benissimo quel che accade nel loro cerchio stretto. Sono stato ai vertici di un partito, ho trattato con i miei referenti in altre forze politiche, lo so. Del resto: sui casi di corruzione e concussione i partiti non sono mai arrivati per primi. Non ce n’è stato uno che abbia di sua iniziativa bonificato situazioni opache. E’ stata la magistratura, sono stati i movimenti di cittadini a sollevare i casi».
Anche nell’Idv non sempre è andato tutto benissimo.
«Non sempre. Il reclutamento della classe dirigente è fondamentale e deve rispondere a criteri di chiarezza assoluta. Sono stato il primo a battermi per questo».
Una nuova classe dirigente. Pisapia suggerisce il limite tassativo di due mandati. E’ d’accordo?
«Come principio di carattere generale sì, ma in politica le regole burocratiche non sempre funzionano. La questione morale non si risolve solo così. Avrebbe avuto senso stabilire il limite di due mandati per Enrico Berlinguer? Dopo di lui il Pd non ha più avuto un leader di quel calibro. Non è mettendo un limite temporale ai mandati che si fa emergere una generazione nuova ma coltivando in chi arriva alla politica i valori etici e morali di giustizia, libertà , trasparenza. Non cooptando persone simili e servili, gente che non faccia ombra a chi guida ma ingaggiando una gara fra talenti e progetti, valorizzando chi ha consenso e non emarginandolo. Non bisogna avere paura e scegliere le persone che sappiano fare una rivoluzione partendo dalla questione morale. Persone fuori dagli schemi, che sappiano connettersi col popolo e trovare un equilibrio fra istituzioni e movimenti civici».
Parla di sé?
«Ma no, anche se quello che è avvenuto a Napoli a Cagliari a Milano è stata una vera rivoluzione, e vedo che anziché prendere ad esempio quel modello c’è una gran fretta di dimenticarlo e marginalizzarlo. Il Paese è pieno di persone di valore che fanno politica, o che la farebbero in condizioni di aver voce in capitolo. Il fermento che c’è attorno a noi è il contrario dell’antipolitica: le battaglie della Fiom, quelle delle donne e degli studenti sono politica. Non a caso i partiti ne sono rimasti fuori, o sono stati tenuti fuori dai movimenti. Bisogna portare quella forza nelle istituzioni. Scegliere da lì le persone: quelle capaci di mobilitare, di animare speranze e di tradurle in progetti».
Chi deve scegliere queste persone? Servirà  un criterio.
«Certo. In primo luogo serve una nuova legge elettorale. Siccome sono certo che questo Parlamento non la farà  dico che si deve firmare per il referendum. E’ ovvio. A livello locale le primarie funzionano ma non devono essere un veicolo di lotta interna ai partiti. Bisogna che entrino in gara persone libere, competenti, indipendenti e che non siano ostacolate dai correntismi ma incoraggiate».
Stento a immaginarlo.
«Appunto. Ma è l’unica strada perché la politica torni in contatto con la realtà . Bisogna creare dei laboratori politici che facciano da pungolo ai partiti. La questione morale non la risolve la magistratura. E i partiti, oggi – spiace dirlo – non hanno la capacità  di affrontarla».
Laboratori politici come?
«Bisogna riattivare il controllo democratico. Partire dal basso. A Napoli abbiamo creato l’assessorato ai Beni comuni e alla democrazia partecipativa. Era una città  depressa dal malaffare e dalla corruzione, che oggi è assai più grave che nel ‘92. Oggi la corruzione è un sistema diffuso nel quale la criminalità  è penetrata attraverso società  quotate in borsa. Bisogna che i cittadini sentano di avere la forza di cambiare. Incoraggiare assemblee popolari su questioni specifiche, nei quartieri. E’ lì che nascono i progetti, e le leadership. Bisogna prendere l’indignazione che c’è e allontanarla dall’antipolitica, trasformarla piuttosto in energia. Scegliere dalla base chi mandare in Parlamento, per esempio. Come lei sa sono sempre stato favorevole alla battaglia sulle primarie di collegio per selezionare deputati e senatori. Non altrettanto i vertici dei partiti, ci sarà  una ragione».
Pensa che si vada al voto nel 2012, che ci sarà  un governo tecnico o che questa maggioranza reggerà ?
«Temo che si andrà  a fine legislatura. Questo governo è in grande difficoltà  ma ha paura di perdere le elezioni. Del resto il centrosinistra non è ancora pronto ad avanzare un’alternativa credibile a Berlusconi: né come modello, né come leadership. Andare a votare non conviene a nessuno».
Nel caso ci fossero si candiderebbe alle primarie del centrosinistra?
«Io no, voglio fare il sindaco. E’ un compito magnifico. Ancora la mattina quando esco per strada non mi sembra vero. Voglio cambiare questa città , portare la domanda dei cittadini nelle istituzioni. E poi bisogna evitare personalismi in questo momento, è stato l’errore degli ultimi mesi di Vendola. Bisogna usare il tempo per formare una generazione competente e combattiva. Poi certo, mi piacerebbe partecipare a livello nazionale a questo processo».
A livello nazionale, da sindaco?
«Certo, è dalle amministrative e dai referendum che sono venuti i più importanti segnali di cambiamento. Vorrei contribuire a creare un movimento politico organizzato che sappia tenere insieme elementi della politica e dei movimenti».
Un nuovo partito?
«No, al contrario. Un movimento che affianchi i partiti nella via del risanamento. Un movimento popolare e politico. Un luogo dove le energie e le intelligenze si sentano rappresentate e non mortificate, anche quelle critiche. E non è solo una questione generazionale, di “rottamazione”: la questione morale non è anagrafica. Il rinnovamento passa certo dalle donne e dai giovani, ma anche dagli uomini e dai vecchi a patto che rispondano alla domanda di bene comune. Che facciano politica per gli altri e non per sé, non per l’interesse della loro corrente o del partito».

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