“I 500mila a Tarantini? Io e Ghedini dicemmo che erano inopportuni”

by Sergio Segio | 15 Settembre 2011 6:27

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Le carte processuali ricostruiscono come il premier abbia messo «sotto tutela» l’imprenditore finito sotto inchiesta a Bari per aver reclutato donne a pagamento da portare alle sue feste. I legali confermano di non essere stati pagati, ma Perroni sottolinea: «Si tratta di un cliente importante segnalatomi da Berlusconi, mi è capitato anche in altre occasioni difendere gratuitamente persone segnalate da altri clienti».
«Mi scelse il premier»
Il 2 settembre, poco dopo l’arresto di Tarantini e di sua moglie, viene convocato in questura a Roma l’avvocato Giorgio Perroni. E a verbale dichiara: «Per ciò che riguarda l’incarico ricevuto da Tarantini, preciso che nel settembre 2010 mi chiamò il presidente Berlusconi che mi chiese di assumere la difesa di Tarantini. Subito dopo io chiamai l’avvocato Ghedini, difensore di Berlusconi, al quale comunicai tale circostanza; Ghedini si limitò a dirmi che Tarantini non si era trovato bene con il suo precedente difensore il professor D’Ascola. Successivamente fissai un appuntamento con Tarantini che fu accompagnato al mio studio dall’avvocato Quaranta e da Lavitola, che io non avevo mai visto. Dopo la riunione dissi a Tarantini di non presentarsi più con Lavitola al mio studio e ciò dal momento che non è mia abitudine intermediare, con un terzo che non conosco, il rapporto con il cliente. Tra l’altro Lavitola non mi fece una buona impressione, circostanza questa che non comunicai a Tarantini». Subito dopo i pubblici ministeri gli chiedono se «le risulta che il presidente Berlusconi abbia dato 500 mila euro a Tarantini» e a questo punto Perroni oppone il segreto professionale.
«Io e Ghedini contrariati»
I magistrati dell’accusa chiedono dunque al giudice di svincolarlo da questa «cautela». L’istanza viene accolta e il 9 settembre Perroni è di nuovo di fronte ai magistrati. A questo punto libero di rivelare: «Ricordo che intorno a giugno, luglio scorso, nel corso di una riunione ad Arcore con il presidente Berlusconi e con Ghedini avente ad oggetto argomenti e vicende processuali del Presidente, lo stesso Berlusconi mi chiese come stesse Tarantini. Io gli risposi che stava bene fisicamente ma era preoccupato per la sua posizione processuale e aveva problemi economici dal momento che era fallito e non riusciva a intraprendere una nuova attività  imprenditoriale. In quel contesto Berlusconi ci disse di aver messo a disposizione di Tarantini, tramite Lavitola e su richiesta dello stesso Tarantini, 500 mila euro per intraprendere una nuova attività  imprenditoriale. Ricordo che io non ero a conoscenza di tale dazione ed evidenziai l’inopportunità  della stessa. Anche Ghedini — neppure lui a conoscenza della dazione — evidenziò tale inopportunità . Ghedini inoltre espresse giudizi non lusinghieri nei confronti di Lavitola e anche io dissi al Presidente che nell’unica volta che l’avevo visto non mi aveva fatto una buona impressione. A questo punto Ghedini propose al presidente di accertare tramite me che sono difensore di Tarantini se tale somma fosse già  stata versata a Tarantini, e ciò perché se per caso non l’avesse ancora ricevuta si poteva bloccare l’operazione. Il presidente accettò la proposta di Ghedini e dunque mi chiese di chiedere a Tarantini se avesse ricevuto i 500 mila euro. Io così feci e Tarantini mi rispose di no; io di tanto informai Ghedini». I magistrati chiedono di sapere perché considerassero inopportuna l’elargizione di denaro a Tarantini e il penalista risponde: «Basta vedere quello che è successo: non c’è dubbio che tale dazione poteva essere equivoca. Il Presidente però in quella occasione era assolutamente tranquillo, dal momento che lui disse che si trattava di un semplice aiuto economico che aveva ritenuto di corrispondere a una persona in difficoltà  senza chiedere nulla in cambio».
Le interferenze di Lavitola
Anche l’altro difensore, l’avvocato Nicola Quaranta, attacca Lavitola. «L’ho visto in un’unica circostanza, quando accompagnai Tarantini allo studio dell’avvocato Perroni, in occasione di una riunione. Al riguardo posso dire che Lavitola mi fece una pessima impressione, tenendo un atteggiamento arrogante. Ricordo che Lavitola, appunto in modo arrogante, addirittura intendeva interloquire con noi avvocati sulla strategia difensiva da seguire nei procedimenti di Tarantini. Inoltre ricordo che Lavitola criticò l’operato del precedente difensore di Tarantini, avvocato D’Ascola, che fu sostituito dall’avvocato Perroni. Cosa che a me diede fastidio perché‚ stimo D’Ascola e non sono stato d’accordo con la sua revoca».
Poi Quaranta ribadisce di aver avuto numerosi colloqui con i magistrati di Bari «dal momento che la nostra strategia difensiva iniziale era quella di definire complessivamente tutte le pendenze di Tarantini con un patteggiamento allargato e ciò anche perché Tarantini aveva collaborato con l’autorità  giudiziaria. Di tale strategia ho parlato sia con il procuratore di Bari, sia con i sostituti. Tuttavia allo stato non si è concluso nulla di concreto ed è obiettivamente impossibile avendo preso alcuni procedimenti strade processuali diverse cioè non sono più nello stesso stato e grado». Una versione che coincide con quanto è stato chiarito proprio dagli inquirenti titolari dell’inchiesta e dallo stesso Laudati quando ha pubblicamente affermato che «nessuna richiesta di patteggiamento nell’inchiesta sul favoreggiamento della prostituzione è stata mai avanzata né poteva esserlo sia in considerazione del numero degli indagati e sia delle ipotesi dei reati contestati». Tarantini ha poi cambiato avvocati nominando Alessandro Diddi, Ivan Filippelli e Piergerardo Santoro.

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