“Facciamola finita con gli zingari” la guerra ai rom incendia l’Est Europa
BERLINO – In Bulgaria i giovani di mano si dà nno appuntamento su Facebook, «facciamola finita con gli zingari». Nella repubblica cèca i cittadini dei villaggi si organizzano, e i neonazisti corrono a dar loro man forte. In Ungheria, da mesi, il “koezmunka” (lavoro utile), cioè duro lavoro manuale con indosso magliette arancioni alla Guantanamo, è obbligatorio se il disoccupato non vuol perdere i miseri assegni-povertà , e tocca essenzialmente i rom. In Slovacchia sognano di sterilizzare delle donne della minoranza. Nuova Europa, estate-autunno 2011: una guerra civile dimenticata infuria tra rom e “locali doc”, focolai di violenza e notti di guerriglia urbana esplodono ovunque, dalle porte di Praga alla bulgara Plowdiw, dal confine cèco-tedesco ai villaggi ungheresi pattugliati dalla Magyar Garda con le sue tetre, nostalgiche uniformi nere.
«Alta disoccupazione superiore alla media dopo la fine del comunismo, quando almeno avevano lavori mal pagati ma sicuri, emarginazione e auto-emarginazione, basso livello d’istruzione, tanto più da quando il governo di destra ha ridotto gli anni di scuola dell’obbligo e dimezzato il numero delle università . La crisi colpisce i rom più degli altri, e così sale tra loro anche il livello di criminalità », dice il grande scrittore ungherese Gyorgy Konrad. «Per anni socialismo reale, sinistre postcomuniste, l’Europa intera, hanno sottovalutato il problema, adesso l’ultradestra ha trovato un nuovo “nemico necessario”», quasi un antisemitismo di ricambio.
In Bulgaria, gli scontri sono stati gravissimi. La scintilla: la morte di un ragazzo, il 19enne Angel Petrov, investito da un’auto dei “picciotti” di “Zar Kiro”, Kiril Rashkow appunto, il capo rom accusato di attività mafiose e arrestato ieri. Reazione immediata, organizzata sui social network. Centinaia di giovanotti hanno assaltato Katuniza e dato alle fiamme le case di Zar Kiro. Sofia ha inviato in corsa la polizia antisommossa: cento neonazi sono finiti in prigione, insieme a una quarantina di rom violenti. Il premier conservatore Bojko Borissow e il presidente socialista Georgi Parvanov sono accorsi a lanciare appelli alla calma, ma invano.
I rom non ci stanno più a prendere le botte ovunque, come in Ungheria dalla Magyar Garda. Formano bande, picchiano anche loro, gridano «sporchi bianchi». Accade da settimane a Varnsdorf e a Novy Bor, nordovest cèco. Lassù, astute società immobiliari hanno trasferito molti rom, dalle case popolari presso Praga ora in restauro per rivenderle con profitto. I rom non hanno lavoro, i loro giovani si armano di machete. A volte attaccano per primi. Passo breve, dall’autodifesa dei locali alla voglia di pogrom dei neonazisti. «Liberi, sociali e nazionali», gridano le teste rapate del Dsss, il partito ultrà , «prendiamo in mano la legge», proclamano i loro leader Tomas Vandas e Jiri Moravec. Slogan ripresi dai neonazi tedeschi. Barricate, battaglie in strada, incendi. Reparti speciali inviati da Praga e specialisti antinazi della polizia tedesca non bastano come pompieri d’un incendio profondo. «Anche certi governi cavalcano slogan segregazionisti», suggerisce Konrad. I rom si preparano al peggio: violenza o esodo. «Mi vogliono nomade in eterno?», dice Roman, un 27enne gitano, a Spiegel online. «Sono disoccupato, se qui ne avrò abbastanza me ne andrò altrove in Europa». Ma se aveva speranza e voglia d’integrarsi, la guerra civile glie le ha uccise nel cuore.
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