“Evo, traditore della Terra” vacilla l’icona degli indios

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Chi avrebbe immaginato nella Bolivia di Evo – il “presidente indio”, eletto e rieletto trionfalmente nel nome della difesa della Pachamama, la madre terra sacra degli aymara e dei quechua – gli agenti della polizia che assaltano una marcia di protesta e pestano a sangue gli indios? E chi avrebbe immaginato intere comunità  indigene in piazza per gridare “fascista” al presidente? Invece è successo dopo che gli squadroni della polizia nazionale hanno attaccato un corteo, intere famiglie che protestavano contro il progetto di una autostrada. La violenza e la brutalità  del pestaggio è stato uno choc per tutto il paese.
Evo, che fino a quel momento aveva rifiutato il dialogo con gli indios che protestavano accusandoli di essere «agenti degli Stati Uniti», si è dissociato dall’azione della polizia e ha chiesto «perdono ai fratelli indigeni». Nel governo il ministro della Difesa si è dimesso in solidarietà  con i pestati, mentre il suo collega degli Interni è stato costretto ad andarsene. La costruzione dell’autostrada è stata bloccata e Morales ha promesso un referendum per decidere sul da farsi.
Ma qualcosa si è rotto. Consenso, fiducia, appoggio: Evo, rieletto due anni fa con il 63% dei voti, li ha persi nel breve volgere di un’estate; e la Bolivia, tra scioperi e cortei, sembra tornata a dieci anni fa quando le rivolte degli indios cacciarono un presidente “yankee” e liberal, Sanchez de Losada, accusato di svendere il prezioso gas delle viscere della Pachamama alle multinazionali e alla California.
Il retroscena di tutta la vicenda è uno scontro tra comunità  indios. Da una parte i contadini cocaleros dell’area di Cochabamba e del Chapare, il principale bacino elettorale di Morales. Dall’altra gli indigeni del Parco Nazionale Isoboro Securé. I primi, infatti, sarebbero i maggiori beneficiari dell’autostrada che consentirebbe di unire una zona agricola che ha bisogno di investimenti e sviluppo con i mercati brasiliani. Gli altri, quelli della foresta, ne avrebbero fatto le spese. Fin qui il conflitto che, gestito malissimo da governo e presidente, è esploso portando tutto il resto del paese a tifare per gli indigeni del Parco Naturale contro quelli di Cochabamba.
Così Evo che nel 2006 era arrivato trionfalmente al potere avvolto nella whipala, la bandiera degli indios; che aveva modificato la Costituzione per trasformare la Bolivia in uno stato multietnico riconoscendo ufficialmente 36 lingue e popolazioni indigene; che aveva proclamato come primo obiettivo la difesa della “madre terra” dall’avidità  delle multinazionali; che aveva proclamato il diritto all’autonomia e all’autogoverno di tutti i popoli e “nazioni” indigene all’interno del paese: si è ritrovato ha fronteggiare il disamore dei suoi simili. «Noi non gli crediamo più, è solo un bugiardo», ha urlato in tv Justa Cabrera, leader indigena della foresta di Securé, mentre il presidente chiedeva perdono. «Voglio dirvi che non ho mai autorizzato la repressione della marcia, è stato un eccesso, un abuso commesso anche contro di me». Ma la credibilità  se n’è andata, non gli hanno creduto. E mentre Morales annunciava lo stop ai lavori dell’autostrada le centrali sindacali più forti del paese lanciavano lo sciopero generale e migliaia di indios scendevano in piazza indignati e delusi.
Il Parco Nazionale di Isoboro Securé è un territorio ancestrale delle comunità  Chiman, Yuracaré e Moxos che si estende in una foresta di un milione di ettari ed è abitato da 15 mila persone. Ha una grande importanza naturale per le sue lagune, per gli animali e la fauna. La costruzione dell’autostrada, finanziata completamente da investimenti brasiliani, avrebbe l’effetto di spaccare in due la foresta e di distruggerne una parte importante. Il solo annuncio che sarebbe stata costruita una via di comunicazione ha prodotto l’arrivo ai margini della foresta di centinaia di contadini poveri del Chapare che hanno iniziato ad occupare terre e a disboscare. Ed è questo quel che più temono le comunità  della foresta: che l’autostrada diventi il veicolo per la distruzione del paradiso con migliaia di “coloni” che arrivano per distruggere gli alberi e seminare nuovi campi (magari di preziose foglie di coca).
Ora Evo è davanti al bivio: ai suoi cocaleros (il presidente boliviano nasce come leader sindacale dei coltivatori di foglie di coca del Chapare) ha promesso nuove terre e l’autostrada mentre tutte le altre etnie si oppongono al progetto. «La fine dell’idillio», ha titolato El Pais ricordando come la forza originale di Morales era stata nel 2006 quella di unificare nella sua candidatura le aspirazioni di tutte le comunità  indigene del paese. E di spezzare così il dominio politico dei capitalisti bianchi delle pianure di Santa Cruz, la capitale economica della Bolivia, così lontana e così diversa da La Paz, arroccata ad oltre 4mila metri sulle Ande. Evo ha già  perso l’appoggio di tre delle cinque comunità  indios più grandi ma adesso rischia di deludere anche i suoi elettori più fedeli.


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