“È saltato l’accordo con Tunisi ora ci sarà  un’ondata di sbarchi”

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ROMA – Salta il tappo della Tunisia: chiusa una falla, se ne apre un’altra. Se con l’ingresso dei ribelli a Tripoli i flussi di migranti dalla Libia hanno rallentato fino quasi ad arrestarsi, è la rotta tunisina che torna a far paura. A non girare a pieno regime è sia la macchina delle espulsioni che quella dei respingimenti e del controllo alle frontiere: i due capisaldi dell’accordo Italia-Tunisia del 6 aprile scorso. «La crisi economica e l’instabilità  politica di Tunisi – spiega una fonte qualificata del Viminale – stanno facendo traballare l’intesa, nonostante gli sforzi di Maroni». Il rischio? «L’accordo ridotto a carta straccia e una nuova imponente ondata di sbarchi». Le testimonianze dei migranti lo confermano: «Stando ai loro racconti – sostiene Flavio Di Giacomo, portavoce in Italia dell’Oim (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) – nei porti tunisini e sulla rotta per l’Italia non c’è più alcun controllo».
Un passo indietro. A Lampedusa sono arrivati dall’inizio dell’anno 50.403 migranti, più della metà  dalla Tunisia e il resto dalle regioni sub-sahariane, via Libia. «Oltre ventimila tunisini – ricorda Di Giacomo – sono arrivati da metà  febbraio ad aprile, poi il flusso si è arrestato in seguito all’accordo con il governo italiano. A inizio agosto gli sbarchi di tunisini sono però ripresi: più di duemila fino a oggi». Sul tavolo degli imputati è proprio l’accordo in base al quale l’Italia ha donato al Paese nordafricano 6 motovedette, 4 pattugliatori e un centinaio di fuoristrada e la Tunisia si è impegnata a «rafforzare i controlli per evitare nuove partenze e accettare la riammissione rapida degli sbarcati».
«La sensazione – sostiene Oliviero Forti, responsabile immigrazione della Caritas italiana – è che gli accordi fra i due governi sul controllo dei flussi di immigrati in questo momento non funzionino». Ad incidere è anche l’instabile quadro politico tunisino, in vista delle elezioni dell’assemblea costituente fissate per il prossimo 23 ottobre. «Quanto sta succedendo – dichiara il direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati, Christopher Hein – è la conseguenza di una politica miope. Gli accordi fatti dal governo italiano non hanno considerato la particolare condizione socio-economica della Tunisia». E così, nonostante la visita di Maroni a Tunisi il 12 settembre, tanto i controlli ai porti d’imbarco da parte dei militari tunisini, che le intercettazioni in mare supportate dalla marina militare italiana rischiano di saltare. Non è tutto.
I tunisini presenti a Lampedusa sono destinati al rimpatrio forzato. Non rientrano infatti tra i potenziali richiedenti asilo (a differenza di quanti partono dalle coste libiche), né tra quanti hanno diritto a un permesso di soggiorno temporaneo. Lo ribadisce il capo della Protezione civile, Franco Gabrielli: «Il problema di Lampedusa riguarda cittadini tunisini che non possono essere inseriti nel circuito dell’accoglienza come stabilito dall’accordo del 6 aprile». L’accordo prevede infatti la concessione di un permesso speciale solo a chi è sbarcato “dall’1° gennaio 2011 alla mezzanotte del 5 aprile”. Per tutti gli altri “viene disposto respingimento o espulsione”. Ma anche qui la macchina va a rilento, nonostante la promessa di passare da 30 rimpatri al giorno a 100: «Un ritmo – fanno sapere le fonti del Viminale – che finora difficilmente è stato mantenuto, anche perché non sempre Tunisi autorizza i trasferimenti».
Sul caso Lampedusa si riaccende lo scontro politico. «Il ministro Maroni venga immediatamente in Senato a riferire su ciò che sta avvenendo – chiede Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del Pd – perché la situazione degli sbarchi non è assolutamente governata». Mentre per Luciano Dussin, vicepresidente vicario dei deputati della Lega Nord, «i messaggi di buonismo del centrosinistra e le reticenze della magistratura nell’applicare le nostre leggi sono un mix pericoloso che lascia intravedere la possibilità  di arrivare nel nostro Paese senza regole».


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