Proteste, arresti e delusione ambientalisti traditi da Barack
NEW YORK – Hannah s’è fatta arrestare con le mani provocatoriamente sporche di petrolio: e del resto per una che faceva la sirena a Manhattan (ricordate “Splash”?) non è bella la prospettiva di ritrovarsi incatramata nell’Oceano. Naomi Klein invece l’hanno ammanettata tra i nativi: se l’era portati dietro per protestare anche lei contro quell’oleodotto che da Alberta, nel suo Canada, porterà l’oro nero fino al Golfo del Messico. La diva di Hollywood e l’ideologa dei no global? Altro che strana coppia: le ex ragazze sono in ottima compagnia. Decine di migliaia i manifestanti che per due settimane hanno assediato la Casa Bianca. Più di mille arresti. Una cifra enorme per una protesta ultrapacifica indirizzata per di più all’uomo che quella stessa gente ha portato tre anni fa fin lì: Barack Obama.
S’erano tanto amati. Lui prometteva neppure fosse Mosè: «L’innalzamento degli oceani comincerà a diminuire e il pianeta comincerà a guarire». E loro ci credevano. I volontari di Sierra Club che spedivano milioni di email “Obama for President”: e dopo la retromarcia sui limiti all’ozono ora sommergono Internet di messaggi disperati. “Sorry kids”: il presidente non vi difenderà . I ragazzi di MoveOn che con i cinque milioni di iscritti furono lo zoccolo duro della campagna web di Barack: e adesso definiscono “devastante” la decisione. Ambientalisti come John Walke del Natural Resource Defense Council che aveva ritirato tutte le cause ambientali fatte all’amministrazione ai tempi di George W. Bush: e adesso giura al New York Times che è pronto a tornare alle carte bollate. La definizione migliore dell’effetto che il tradimento di Obama avrà sul movimento verde la dà sempre lui: «Ha sganciato una bomba». E adesso «è solo shock e caos».
Eppure la battaglia persa sui limiti dell’aria è solo l’ultima di una lunga seria che ha esasperato i difensori dell’ambiente. Prima la rivoluzione verde passata trionfalisticamente alla Camera ma “dimenticata” al Senato per favorire il passaggio della riforma sanitaria. Poi l’incauto annuncio della riapertura alle trivellazioni degli spicchi di Oceano che perfino ai tempi di Bush erano offlimits: giusto in tempo per ritrovarsi meno di un mese dopo con una piattaforma in fiamme nel Golfo e il più grande disastro ambientale degli Usa. E adesso il via libera a quel serpente velenoso che porterà il petrolio canadese nelle raffinerie del Texas attraversando sei Stati e inondando – sostengono gli ambientalisti – mezz’America di ossido di carbonio. Ieri era l’ultimo giorno della protesta a Washington. E tra i duecento arrestati in massa in questo tranquillo sabato prefestivo – lunedì è la festa del lavoro e il presidente è a Camp David – c’erano tanti militanti con le magliette e i distintivi di “Obama 2008”. Compreso quel Courtney Hight che era il capo del team che gestì allora la macchina elettorale in Florida: portandola alla vittoria.
Il presidente s’è riservato di decidere entro l’anno se rivedere o no l’ok al superoleodotto da 7 miliardi di dollari. Che sarà sicuramente uno stimolo all’occupazione e potrà calmierare il prezzo della benzina. Sempre che non gli costi prima l’addio del suo popolo. E dei sogni di rielezione.
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