Prodi: le indicazioni erano doverose Il Pd prima tifoso ora imbarazzato

by Sergio Segio | 30 Settembre 2011 6:26

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Solo qualche mese fa, in alcune interviste, il leader di Sel metteva in guardia il Pd dal «farsi sorpassare a sinistra da Ratzinger e da Draghi» sul tema del lavoro precario e si chiedeva: «Possibile che le cose più di sinistra in Italia le debba dire il Governatore della Banca d’Italia?». Lo stesso Draghi che, insieme con Trichet, ha presentato al governo almeno quattro richieste indigeribili per Sel, ma anche per il Pd e per l’Idv: la «piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali», attraverso «privatizzazioni su larga scala»; la «revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento»; «più rigorosi criteri di idoneità  per le pensioni d’anzianità »; e come se non bastasse, un intervento sul pubblico impiego, «se necessario, riducendo gli stipendi».

A dire il vero si tratta di quattro richieste molto complicate da accogliere anche per l’attuale maggioranza. Basti pensare al niet della Lega sulle pensioni d’anzianità  oppure a cosa significherebbe un taglio delle retribuzioni degli statali in termini di rottura con la Cisl e la Uil: uno scenario non sostenibile per il Pdl. Ma il governo e la maggioranza almeno possono dire di avere preso, con le manovre di luglio e di agosto, provvedimenti che vanno nella direzione chiesta da Francoforte. Anche se poi devono affrontare le accuse di aver fatto commissariare l’Italia dalla Bce. Per il centrosinistra, invece, si apre un problema di coerenza: la Bce e Draghi vanno bene quando criticano il governo, salvo poi scoprire che lo criticano perché non fa le cose che soprattutto le opposizioni non vogliono. Il 24 giugno scorso la direzione del Pd, allora riunita, salutò con un lungo applauso la notizia della nomina di Draghi alla guida della Banca centrale (si insedierà  il primo novembre): lo stesso Draghi che ieri il Pd ha chiesto sia convocato in audizione in Parlamento. E lo stesso che invece aveva riscosso il plauso di tutta l’opposizione il 31 maggio, quando, con le annuali «Considerazioni finali», aveva criticato le carenze dell’azione di governo, in particolare sulla crescita dell’economia.

Ieri Romano Prodi, ex presidente della commissione europea e per due volte presidente del Consiglio di governi di centrosinistra, ha detto che la lettera della Bce ha rappresentato «un ammonimento che era doveroso, dato lo stato di divisione del Paese e credo sia stato estremamente utile perché il governo i giorni dopo provasse ad apparire almeno meno diviso. Poi non lo è stato, ma insomma…». Prodi, quindi, si è limitato a sostenere l’utilità  metodologica della missiva, nel senso di uno sprone all’esecutivo, senza però scendere nel merito delle richieste della Banca centrale.

Alla fine, di una cosa il centrosinistra può certamente rivendicare il merito: di aver chiesto dall’inizio che la lettera fosse resa nota. Ieri, grazie al Corriere, la missiva segreta è finalmente diventata pubblica. Ma il contenuto ha riservato amare sorprese all’opposizione. Eppure, solo qualche settimana fa Sandro Gozi, responsabile delle politiche europee del Pd, invitava il ministro dell’Economia Giulio Tremonti a dimettersi, perché «la sua manovra non rispetta le indicazioni di giugno della Commissione, ribadite a Berlusconi con la lettera della Bce». E il leader della Cgil, Susanna Camusso, in un’intervista all’Unità  per lanciare lo sciopero generale del 6 settembre, aveva perfino sfidato il ministro del Welfare. «Sul lavoro Sacconi dice che l’intervento lo ha chiesto la Bce», osservava Rinaldo Gianola. «Non è vero – replicava Camusso -. Sono pronta a leggere la lettera inviata dalla Bce al governo e a confrontare le richieste di Francoforte con la manovra». Parole imprudenti.

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