Pro e contro l’Onu nei Territori occupati
GAZA.A Gaza sarà una giornata come le altre e non solo per la posizione di Hamas che si oppone all’iniziativa diplomatica del presidente dell’Olp Abu Mazen. L’adesione di un mini-Stato all’Onu precluderebbe ai palestinesi la possibilità di opporsi in futuro alle «politiche colonialiste israeliane», ha ribadito ieri Mahmoud Zahar, uno dei fondatori del movimento islamico. E nelle strade, dove oggi, al contrario della Cisgiordania, non sono previste marce a sostegno del discorso di Abu Mazen al Palazzo di Vetro, nemmeno si parla della «doccia fredda» per le aspirazioni palestinesi causata dal discorso pronunciato mercoledì da Barack Obama all’Onu. Da queste parti non hanno mai creduto alle promesse di cambiamento in Medio Oriente fatte dal presidente Usa all’inizio del suo mandato. «L’America sta sempre con Israele e in ogni caso per noi di Gaza non cambierà niente. Con o senza lo stato palestinese all’Onu rimarremo prigionieri di Israele», ci diceva ieri Amr Yazji, uno delle migliaia di nuovi tassisti che circolano per Gaza nel quadro di un piano governativo per creare lavoro e aumentare le entrate del governo del premier Haniyeh (400 euro il costo della licenza). «La mia preccupazione oggi, domani e nei prossimi giorni sarà quella di rimediare i soldi che devo restituire da tempo ad un amico», aggiunge Yazji. Non che in Cisgiordania lo scetticismo tra la gente sia inferiore ma Abu Mazen in quel territorio conta non pochi sostenitori. Così il presidente palestinese, malgrado l’ennesimo colpo basso ricevuto da Obama, presenterà ugualmente la domanda di adesione piena dello stato di Palestina al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Il veto Usa non lo spaventa e in ogni caso non può più tornare indietro senza perdere la faccia. Oggi pronuncerà il suo discorso e confermerà che in futuro negozierà con Israele, ma da stato a stato.
I nemici della Palestina indipendente sono parecchi ma anche i sostenitori sono numerosi. Non è solo il mondo arabo a puntellare il fragile presidente palestinese, con le sue manifestazioni di massa previste oggi in Egitto, Tunisia, Libia e in altri paesi. Dalla parte dello stato di Palestina c’è quasi tutta l’America latina. «L’introduzione (in agenda) della richiesta palestinese di adesione alle Nazioni unite – ha detto il presidente del Paraguay Fernando Lugo Mendez – è stata la consacrazione del debito storico che la comunità internazionale ha con il popolo palestinese». Il presidente dell’Argentina, Cristina Fernandez, si è detta certa che un riconoscimento a pieno titolo della Palestina non potrebbe fare altro che giovare alla pace e anche alla sicurezza di Israele. È andato giù forte il leader boliviano Evo Morales che, ispirandosi al suo collega venezuelano Chà¡vez, ha accusato Israele di «bombardare, attaccare, assassinare e prendere la terra» dei palestinesi e ha definito il Consiglio di sicurezza «un gruppo di nazioni che decide gli interventi e i massacri». Ma schierati dalla parte di Abu Mazen ci sono anche alcuni israeliani, non appiattiti sulle posizioni del premier Netanyahu e di Barack Obama. «Riconoscere la Palestina per il bene d’Israele». È lo slogan con il quale nomi illustri della cultura israeliana e di veterani della politica hanno lanciato ieri al Rothschild Boulevard di Tel Aviv la loro campagna a favore del riconoscimento dello stato palestinese. Fra questi, l’ex ministro Shulamit Aloni e intellettuali come Avishai Margalit e Yoram Kanyuk e persino il generale Shlomo Gazit, ex capo dell’intelligence militare.
A poche ore dall’intervento all’Onu di Abu Mazen – e di quello in senso contrario di Netanyahu – ieri un migliaio di palestinesi ha marciato a Ramallah contro il discorso del presidente Obama alle Nazioni unite, scandendo «Vergognatevi finti democratici». Il ministro dell’informazione Mutawakkil Taha ha accusato il presidente Usa di parlare «come un colono israeliano». Per l’ex candidato presidenziale Mustafa Barghouti, Obama e l’amministrazione Usa hanno «confermato la propria mancanza d’imparzialità rispetto a ogni ipotesi di soluzione del conflitto con Israele». Soluzione che aspettano da 63 anni tutti i palestinesi, a partire dai milioni di profughi sparsi per il mondo arabo.
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