by Sergio Segio | 1 Settembre 2011 6:27
ROMA — Che fosse una giornata difficile, ma molto difficile per la maggioranza lo si è visto sin dal mattino: complicato persino incontrarsi, con la capigruppo che è saltata a Palazzo Madama in assenza di una bussola e con tutti i vertici di Pdl e Lega alla ricerca di un’impossibile quadra sulla manovra. Nervi a fior di pelle e tensione al massimo, dopo la bocciatura della modifica sulle pensioni, rebus economico che diventa politico.
E Renato Schifani in mezzo, nel tentativo di mediare, ripetendo il suo appello alla maggioranza perché accolga qualche emendamento dell’opposizione e, soprattutto, esortando a un «rispetto dei tempi». Che vuol dire presentare subito gli emendamenti del governo e avviare la discussione, prima in commissione e poi in Aula, evitando il ricorso alla fiducia.
Il presidente del Senato ha avuto nuovamente un contatto con Giorgio Napolitano, sempre più preoccupato per l’incertezza che regna attorno alla manovra economica, con un’attenzione particolare alla salvaguardia dei saldi già fissati e, ugualmente, al rispetto dei tempi. Un Capo dello Stato che guarda in questi giorni al Senato nella fiducia che in quel luogo si svolga il necessario confronto tra maggioranza e opposizione alla ricerca di soluzioni eque. Ma che continua a considerare il momento politico che si sta vivendo come «un angoscioso presente», così come ha detto a Rimini dieci giorni fa.
Palazzo Madama è stato lo scenario dello psicodramma che si è giocato ieri nella maggioranza con un continuo rimpallo di responsabilità tra Lega e Pdl e all’interno dello stesso Pdl. Sotto accusa, in primo luogo, il fallimento e relativo passo indietro sulle modifiche delle pensioni riguardo ai riscatti del servizio militare e della laurea. Con il rischio di un tutti contro tutti dall’incerto epilogo. Fatto sta che Giulio Tremonti è nel mirino di chi lo accusa di essersi tirato indietro nel momento cruciale, di non aver raggiunto Roma per partecipare a queste frenetiche ore di aggiustamento della manovra (sarà comunque presente oggi per il Consiglio dei ministri e il rush finale sugli emendamenti). Da una parte.
Dall’altra è lo stesso ministro dell’Economia, assieme a gran parte dei presenti al vertice di Arcore di lunedì scorso, a prendersela con Maurizio Sacconi perché, nonostante l’assenza alla riunione, sarebbe stato lui l’artefice dell’emendamento sulla modifica alle pensioni. Una battaglia di cifre, che il ministro del Welfare fissava a 80 mila persone interessate (60 mila secondo altre versioni) pensando a chi sarebbe dovuto andare in pensione subito (o quasi subito) perché ha già maturato 40 anni di servizio, ma che gli altri, a partire dalla Lega, hanno poi scoperto essere molto più alte, oltre 665 mila, se si pensa a tutti quelli che comunque hanno riscattato la laurea o la leva militare. Quindi con una ripercussione negativa su una significativa fetta dell’elettorato. Obiezione che il ministero del Welfare respinge attribuendo tutte le colpe al fallimento dell’accordo politico fra Tremonti, il Pdl e i ministri leghisti Calderoli e Maroni.
C’è nel partito di Angelino Alfano una preoccupazione diffusa per il momento che si sta vivendo. Lancia l’allarme il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi: «Occorrono segnali di certezza e di forza. Che vuol dire chiudere il più presto possibile la manovra». Come dire: prima che sia troppo tardi. Più esplicito ancora Osvaldo Napoli: «Se non si fa prestissimo la situazione rischia di precipitare». Con sbocchi più che mai incerti per tutti, a partire dalla maggioranza.
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