Pollaio record: 59 in classe
Questa dell’Istituto statale per i servizi commerciali e turistici Bertarelli di Milano non è una storia qualsiasi, ma una storia di «resistenza» da parte di chi ancora crede nel diritto allo studio per tutti. Dall’altra parte ci sono «nemici» poco chiari. In mezzo c’è una scuola professionale che si trova proprio nel centro di Milano, in corso di Porta Romana, che offre sia i corsi diurni che i corsi serali. Merce rara, questi ultimi. A Milano hanno chiuso quasi tutti, chi resiste si trova perlopiù in periferia. Sarà questo il problema del Bertarelli? E’ troppo «centrale» per aprirsi a servizi considerati «di seconda classe», come dare un diploma a chi studia, o ai tanti ragazzi stranieri che non hanno potuto completare la loro formazione nei paesi di origine?
Fatto sta che al Bertarelli si è creata una situazione ormai insostenibile: le classi concesse sono pochissime. Cosicché quest’anno parlare di «classi pollaio» – termine coniato per descrivere il sovraffollamento che si verifica un po’ dappertutto in Italia, dalle scuole dell’infanzia alle superiori – qui è un eufemismo. Qualche numero: nella quarta classe si arriva a 56 iscritti. Nella terza a 59. Nella seconda a 44. Secondo il Provveditorato meglio di così non si può fare, anche se ora il nuovo reggente ha inviato una richiesta formale per chiedere di avere più insegnanti e poter così formare nuove classi. Per questa sera alle 19 è fissata l’assemblea degli studenti perché scadono le «48 ore di tempo» entro cui, è stato assicurato, sarà presa una decisione. Per inciso, anche nelle nuove classi, le prime, non va meglio: circa 200 iscritti – cinquanta sono in lista di attesa – per cinque classi. Volendo escludere i 50 in lista di attesa, fa comunque 30. Non è che si stia larghi, per quanto la frequenza nei corsi serali sia certamente meno assidua di quelli nelle scuole diurne.
Ma come si è potuti arrivare a questo punto? I rappresentanti di istituto hanno sempre parlato di uno strano «accanimento» contro il Bertarelli. Che è iniziato lo scorso anno, quando si cercò di applicare in questa scuola con inspiegabile pignoleria – che non è stata usata alla fine quasi in nessun posto – sulla circolare della Gelmini che intendeva fissare un «tetto» del 30% alla presenza di studenti stranieri per classe. Certo, fare un discorso del genere in un corso serale lascia il tempo che trova. E, infatti (dopo battaglie, interrogazioni parlamentari, e quant’altro) la circolare non è stata applicata. Poi, la decisione da parte della vecchia dirigente scolastica ora in pensione – di non chiedere classi aggiuntive. Poi, in estate, la scoperta che in segreteria non venivano registrate correttamente le iscrizioni. E, anzi, la raccolta di testimonianze da parte di aspiranti studenti: avevano saputo che al Bertarelli le iscrizioni erano ormai chiuse. Studenti e genitori in pieno agosto si sono messi di vedetta fuori dalla scuola. Le iscrizioni sono lievitate all’improvviso. Come è ovvio, visto che l’Istituto professionale Bertarelli una scuola di qualità , dinamica, che oltretutto si trova al centro di Milano.
E qui si ritorna al sospetto che non nascondono i sostenitori del Bertarelli, anche se certamente non hanno prove per dimostrarlo: che qualcuno voglia chiudere una scuola che offre gratuitamente un servizio che non interessa a nessuno. Chissà quante belle cose si potrebbero fare in un edificio così centrale.
Ma cose belle già ci sono, come gli studenti che stanno lottando per il loro diritto a studiare in modo dignitoso. Quello che si sta spendendo più di tutti si chiama Luigi Cardullo, 35 anni. La sua scuola? «Ho dovuto interrompere gli studi dopo il secondo anno di superiori per problemi famigliari – racconta – poi ho avuto la fortuna di trovare un contratto a tempo indeterminato. Ma finire gli studi è il mio cruccio». E si sta battendo come un leone. Oppure c’è la storia di un ragazzo africano, uno di quelli che ha attraversato deserti, poi il mare, poi è arrivato al Bertarelli. Oggi lavora in una catena alberghiera di discreto livello. Non è una bella favoletta. Qualche volta è realtà .
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