Peres benedice le primavere arabe “Un mondo nuovo, non la Jihad”

by Sergio Segio | 4 Settembre 2011 7:17

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CERNOBBIO – «Può darsi che i jihadisti abbiano avuto un ruolo nella rivolta in Libia, ma a pesare di più sono stati i 42 anni di oppressione del regime, non gli incitamenti degli estremisti islamici. Le rivoluzioni arabe sono già  una grande promessa per il Medio Oriente. Ho fiducia nelle giovani generazioni. Il futuro è affidato alla scienza, è costruito da relazioni pacifiche». A 88 anni Shimon Peres, il presidente di Israele, si muove al workshop di Cernobbio con la lentezza di un vecchio saggio, ma con la velocità  intellettuale di un ragazzo che sa immaginare un nuovo mondo.
Presidente, alla fine di settembre l’Anp di Abu Mazen chiederà  un voto all’assemblea Onu per riconoscere uno Stato palestinese. Potrebbero avere l’appoggio del mondo anche se sarà  un voto simbolico.
«La posizione di Israele, del popolo, del suo governo, è che uno Stato palestinese dovrà  sorgere. La questione non è più il “se”, ma “come” si possa raggiungere l’obiettivo garantendo anche la sicurezza di un altro Stato che già  esiste: Israele. Abbiamo avuto l’esperienza di Gaza, che una volta diventata indipendente si è trasformata in una base per lanciare attacchi contro Israele. Mi chiedo: con quel voto le Nazioni Unite possono garantire la sicurezza di Israele? L’Onu può fermare il lancio di missili su Israele? Può bloccare il contrabbando di armi dall’Iran, un Paese membro della stessa Onu?».
Si metta nei panni del leader palestinese Abu Mazen: lei non farebbe lo stesso? Non chiederebbe un voto all’Onu per sbloccare un negoziato paralizzato da anni?
«Non sono sicuro del risultato di quel voto. Ho paura che sarà  una mera dichiarazione che rinvierà  la possibilità  di un negoziato vero. Certo, è passato molto tempo, ma la pace richiede tempo: essere impazienti e ottenere solo una dichiarazione non servirà  a molto».
Sappiamo che, in accordo col governo Netanyahu, lei ha avuto contatti riservati con la dirigenza palestinese.
«La risposta alle domande di arabi e israeliani sarebbe avere colloqui bilaterali e diretti. Ne sto parlando con i palestinesi, non escludo la possibilità  di un accordo diretto fra noi e loro. Lo dico chiaramente: la soluzione è andare a negoziati diretti».
Israele congelerà  i fondi dell’Anp, bloccherete la collaborazione con i palestinesi dopo un eventuale voto Onu?
«Sui versamenti non ci sono problemi, c’è stato un breve blocco, c’era un dibattito interno al governo, ma quei soldi appartengono ai palestinesi e vanno versati a loro. Per il resto credo che dovremmo continuare a negoziare».
Un fattore essenziale è il supporto dell’opinione pubblica: la società  politica israeliana sta cambiando. Crede che gli israeliani sosterranno la pace?
«Le rispondo con un paradosso: non so se la maggioranza sosterrà  la pace, ma di sicuro la pace creerà  una maggioranza. Se un primo ministro si presenterà  con un progetto di pace, otterrà  sostegno. I sondaggi non sono il verdetto finale: sono come i profumi, gradevoli da odorare, pericolosi da bere. Se ci sarà  un vero progetto di pace, la pace verrà  approvata».
Di fronte a voi, la “primavera” del mondo arabo. Per Israele la rivoluzione più delicata è stata quella in Egitto. Quale sarà  il futuro dei rapporti con questo Paese cruciale per la vostra sicurezza?
«Queste rivoluzioni sono già  una grande promessa per tutto il Medio Oriente. Per ora, però, abbiamo dei rivoluzionari, non una vera “Rivoluzione”: non hanno leader, né un’ideologia, né piani. Hanno la forza dell’età . Le giovani generazioni vedono le cose in maniera differente, in tutto il mondo. Ma far funzionare la macchina del cambiamento non è semplice. Ci vorranno tempo, elezioni e passi successivi. Aggiungo una cosa: non si può cambiare una società  se non vengono garantiti uguali diritti alle donne. Una volta il presidente Obama mi ha chiesto: «Chi sono i principali oppositori alla democrazia in Medio Oriente?». Gli ho risposto: i mariti, gli uomini. Non vogliono dare diritti alle donne. La loro libertà  è essenziale per la libertà  delle società ».
Non crede che in Egitto la giunta militare sarà  portata a cavalcare i sentimenti anti-israeliani? Arriverà  a mettere in dubbio la pace con Israele?
«Non c’è una sola ragione di conflitto fra noi e l’Egitto. È stato il Paese più importante del Medio Oriente, e noi ci auguriamo che rimanga il Paese più solido e importante come l’abbiamo conosciuto. La pace fra noi e l’Egitto è un interesse comune: si fanno molte critiche a Mubarak, ma per 30 anni ha preservato la pace, ha salvato la vita di migliaia di egiziani e di israeliani».
C’è un altro Paese cruciale per voi, la Siria.
«Assad sta mantenendo il potere, ma ha completamente perso la testa. Non puoi rimanere al potere se non hai la testa a posto: ha già  ucciso troppi fra i suoi cittadini, non è possibile cancellare quel che ha fatto. Ammiro il coraggio dei cittadini siriani: hanno protestato per mesi, sfidando il fuoco dei fucili, per difendere la loro dignità , la loro libertà . Avendo ordinato di assassinare così tanti cittadini, Assad ha ucciso anche il suo futuro. Credo che il regime abbia raggiunto la sua fine, è solo questione di tempo».
In Libia la scomparsa di Gheddafi potrebbe assegnare un ruolo importante a leader islamisti o jihadisti?
«Può darsi che i jihadisti abbiano avuto un ruolo, ma il ruolo principale nella rivoluzione l’ha avuto Muammar Gheddafi. La rivolta del popolo libico è stata creata da Gheddafi, per i 42 anni della sua oppressione, non dagli incitamenti dei jihadisti. Ha trattato un Paese come una sua proprietà  privata, difesa con violenza disumana».
Crede che in Libia la “buona politica” riuscirà  a limitare il ruolo di jihadisti e terroristi?
«Io spero di sì, ma le dico una cosa: già  il regime di Gheddafi era un regime estremista, terrorista. Hanno fatto attentati, hanno abbattuto aerei carichi di passeggeri innocenti, pensi a Lockerbie. Non dobbiamo dimenticarlo. Il futuro è davanti a noi: non ho mai ceduto alla previsione dello scontro fra civiltà ; c’è invece uno scontro fra generazioni, ovunque nel mondo. Io ho fiducia nelle nuove generazioni. Il futuro è globale, è affidato alla scienza, è costruito da relazioni pacifiche. Il problema del Medio Oriente è il cibo, il benessere, la vita dei cittadini. La jihad può rispondere a questi problemi? Si possono mangiare i proiettili a colazione? Non credo, le risposte possono offrircele solo politiche corrette di sviluppo economico. Per questo vengo a Cernobbio, a un convegno in cui ogni volta sento parlare di economia, di sviluppo: questo è lo strumento migliore per la pace. Negoziare per favorire lo sviluppo dei popoli».

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