Perché il mondo cattolico sogna un nuovo movimento politico

by Sergio Segio | 29 Settembre 2011 6:00

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Le parole pronunciate dal cardinal Bagnasco al Consiglio permanente della Cei hanno sancito una condanna aspra verso lo stile di vita e “i comportamenti licenziosi” di Silvio Berlusconi. Bersaglio esplicito, anche se innominato. Tanto da suscitare le reazioni irritate del Centrodestra. Preoccupato degli effetti politici di una condanna tanto netta, visto che i cattolici costituiscono un segmento incerto e decisivo del mercato elettorale. Insieme alla Prima Repubblica, infatti, è finita la stagione dell’unità  politica dei cattolici. Un “mito” (secondo Enzo Pace). Perché la Dc era un partito “di” cattolici, ma non il partito “dei” cattolici (come ha osservato il sociologo Arturo Parisi alla fine degli anni Settanta). Non a caso, già  a metà  degli anni Ottanta, la Cei, guidata dal cardinale Camillo Ruini, aveva scelto la via di una “Chiesa extraparlamentare” (la formula è di Sandro Magister). Che agisce senza partiti di riferimento. Attraverso il pulpito, le associazioni, i media. Come un gruppo di pressione. D’altronde, i cattolici praticanti sono ormai una “minoranza”. Coloro che vanno regolarmente a messa, infatti, costituiscono meno del 30% della popolazione. E non sembrano molto disposti a seguire le indicazioni della Chiesa sul piano della morale personale e dell’etica pubblica. Tanto meno sul piano elettorale. Nella Seconda Repubblica, infatti, il voto dei cattolici (praticanti e tiepidi) si è distribuito fra gli schieramenti. Con una prevalenza – limitata – a Centrodestra. Mentre al Centro, i partiti neodc non sono andati molto più in là  del 5-6% degli elettori – e del 10% dei cattolici praticanti. Impossibile, per la Chiesa, riproporre la strategia del collateralismo, in condizioni tanto incerte.
Da ciò la scelta pragmatica della Cei di Ruini. Che, non a caso, ha sempre espresso posizioni ambivalenti, sulle questioni politicamente sensibili. Vicine al Centrosinistra, sui temi della solidarietà  sociale – lavoro e immigrazione. Vicine al Centrodestra, sui temi della bioetica, della famiglia, della vita. Divenuti, però, particolarmente importanti sotto il pontificato di Benedetto XVI. Quando la Chiesa ha cercato di marcare i confini etici dell’identità  cattolica, in tempi di secolarizzazione e di “concorrenza” con altre religioni. Così, senza esprimere esplicite scelte di parte, la Chiesa è “scivolata” accanto a Berlusconi, il Pdl e la Lega. Da cui si è sentita tutelata, nelle questioni morali ma anche negli interessi (scuola, imposte). Assai meglio che dal Centrosinistra. I comportamenti di Berlusconi, tuttavia, hanno continuato a suscitare disagio nella base del mondo cattolico. Come dimostra l’insofferenza di molti settimanali diocesani. Lo stesso cardinal Bagnasco, d’altronde, aveva espresso critiche al ceto politico e di governo, in precedenza. Mai, però, in modo tanto esplicito. Come spiegare questa svolta?
Il primo argomento evoca la fuga precipitosa da un leader e da uno schieramento politico in rapido declino. Anche se la Chiesa è abituata a seguire logiche meno congiunturali.
Per questo mi sembrano più fondate altre spiegazioni.
La più importante riguarda l’identità  cattolica. Se papa Benedetto XVI intendeva rafforzarla e delimitarla, il disegno non pare riuscito. Al contrario. Tra i cattolici praticanti, come mostrano alcune recenti indagini (di Demos), è maggiore l’indulgenza nei confronti degli “stili di vita licenziosi” di Berlusconi. In generale, i cattolici, praticanti e ancor più non praticanti, oggi non seguono le indicazioni morali della Chiesa. Se non in modo molto “privato” e personale. Secondo opportunità .
Da ciò la sensibile perdita di credibilità  sociale subita dalla Chiesa. Dieci anni fa esprimeva fiducia nei suoi riguardi circa il 60% degli italiani (dati Demos), oggi meno del 50%. Anche la fiducia nel Papa appare in sensibile declino: dal 77% ai tempi di Wojtyla al 47% di Ratzinger (nel 2010). Un calo troppo rilevante per essere spiegato solamente con differenze di carisma e di immagine.
C’è poi l’esigenza di “stringere le fila”, in tempi di disorientamento interno. Perché oggi non c’è più “un” Vaticano (come ha argomentato Massimo Franco). Viste le divisioni emerse tra la Cei e la segreteria di Stato vaticana, rappresentata dal cardinal Bertone. La frammentazione si è, inoltre, trasferita dentro il mondo cattolico. Certo, anche nella stagione post-conciliare la Chiesa era attraversata da esperienze plurali. Critiche nei confronti delle gerarchie. Mentre oggi si assiste alla coabitazione di associazioni, comitati, gruppi reciprocamente indifferenti. Più che “un” mondo: un arcipelago di isole e isolette (non Isolotti) isolate. (Lo chiariscono bene le ricerche di Marco Marzano, Roberto Cartocci, Franco Garelli).
Infine, la voce – e il disagio – delle parrocchie e delle associazioni locali faticano a manifestarsi, vista la centralizzazione impressa all’organizzazione della Chiesa da Ruini.
Le posizioni espresse dal cardinal Bagnasco e della Cei richiamano, dunque, un’esigenza e una preoccupazione. L’esigenza di ripensare la presenza dei cattolici in politica. Senza promuovere nuovi partiti, perché l’era della Dc ha costituito un’eccezione. Irripetibile. La preoccupazione, meglio, la consapevolezza: che Berlusconi è alla fine ma il berlusconismo ha attecchito fra i cattolici. Ne ha improntato i valori e gli “stili di vita”. Come un’altra religione. Da cui la Chiesa cerca di prendere le distanze. Prima che sia troppo tardi.

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