Per Berlino i giochi non sono chiusi Ora la partita è con le banche

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Nuova falla da turare, quindi, subito dopo che Angela Merkel si è assicurata una bella vittoria politica al Bundestag, ieri. Succede che tra i 17 membri dell’Eurozona si è riaperto un dossier che molti consideravano chiuso. Si tratta del secondo pacchetto finanziario a favore della Grecia, da 109 miliardi, deciso dal Consiglio europeo del 21 luglio scorso: tra le altre cose, prevede che i privati che hanno investito in titoli di Stato di Atene accettino di perdere circa il 21 per cento su 135 miliardi di obbligazioni elleniche; ora invece si scopre che quello schema potrebbe fare guadagnare decine di miliardi alla speculazione. In più, forse non sarà  sufficiente, perché la Grecia potrebbe avere bisogno di maggiori fondi rispetto a quelli che le sono stati promessi due mesi fa. Fatto sta che il governo tedesco e altri cinque o sei governi dell’area euro vorrebbero ridiscutere l’accordo raggiunto a luglio con i privati (soprattutto banche) in quanto troppo vantaggioso per questi ultimi e costoso per i contribuenti.

In un’intervista alla televisione greca Ert, la cancelliera tedesca non ha escluso la rinegoziazione e l’ha condizionata ai risultati dei colloqui ripresi oggi tra il governo di Atene e la troika (Fondo monetario internazionale, Ue, Banca centrale europea) che deve giudicare lo stato delle finanze del Paese. «Ora dobbiamo aspettare ciò che la troika trova e quello che ci dice, se dobbiamo rinegoziare o se non dobbiamo rinegoziare», ha spiegato Frau Merkel. Il Financial Times ha citato fonti anonime di Bruxelles per sostenere che fino a sette governi sarebbero dell’opinione di riaprire il dossier allo scopo di aumentare le perdite a carico dei privati nella parziale ristrutturazione del debito greco concordata in luglio. Oltre a quello tedesco, tra questi sette dovrebbero esserci i governi di Olanda, Austria e Finlandia. Parigi e la Banca centrale europea sarebbero invece radicalmente contrarie a ristrutturare un pacchetto concordato tra mille difficoltà  tra i governi e i rappresentanti delle banche (raccolte nell’International Institute of Finance). Nuova spaccatura nell’Eurozona, insomma.

L’accordo di luglio prevede un meccanismo complesso che in teoria dovrebbe comportare per i privati perdite attorno al 21 per cento. Il fatto è che dal giorno successivo alla firma del pacchetto (che deve essere approvato dai parlamenti dei 17 dell’area euro) molti hedge fund e speculatori hanno iniziato a comprare titoli greci, a prezzi che sul mercato sono stracciati: ieri si compravano a meno di 40 centesimi rispetto a un valore facciale di un euro. Nella speranza – quasi certezza – che avrebbero poi potuto scambiarli, secondo il piano concordato, per altri titoli garantiti dalla Ue che equivalevano a 79 centesimi su un euro. Se tutto andrà  avanti come previsto fino a questo momento, in pochi mesi si tratterebbe di un guadagno del cento per cento (comprati a 40 o meno, ceduti a 79). Secondo il New York Times, un terzo degli investitori che hanno accettato il piano avrebbero comprato i titoli greci dopo il 21 luglio, cioè sicuri di fare un profitto considerevole: si tratta di titoli per una quarantina di miliardi sui quali la speculazione ha puntato.

Se le cose andassero in questo modo – ritengono a Berlino e in altre Cancellerie europee – le opinioni pubbliche si ribellerebbero all’idea di usare denaro dei contribuenti europei per favorire gli hedge fund che hanno trovato un modo legittimo ma troppo facile per fare soldi. Si tratterebbe di un flop piuttosto evidente. Più di un politico tedesco, inoltre, è irritato al pensiero che le banche che hanno in portafoglio titoli greci che oggi valgono meno del 40 per cento del loro valore facciale siano «salvate» offrendo loro un patto favorevole che limiterebbe le perdite al 21 per cento (o anche a molto meno, secondo i calcoli di alcuni analisti).

La reazione delle banche alle parole di Frau Merkel e ai piani di ridiscussione dell’accordo è dura. Josef Ackermann, numero uno di Deutsche Bank, dice che «riaprire l’accordo non è fattibile». Altri sostengono che se si imponessero perdite peggiori ai privati questi reagirebbero vendendo titoli delle banche e debito italiano e spagnolo, con un grave effetto contagio. Chiuso un capitolo, se ne apre subito un altro, in questa crisi.


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