Pareggio di bilancio, Madrid accelera
MILANO — Domani il Congresso dei deputati a Madrid voterà in corsia velocissima la prima modifica alla Costituzione in trent’anni. È il frutto di un accordo chiaro e definitivo non solo nel governo di José Luis Zapatero, ma fra quest’ultimo e l’opposizione guidata dal leader dei popolari Mariano Rajoy. Fra due mesi Zapatero e Rajoy si sfideranno alle elezioni politiche, ma per ora si sono messi d’accordo senza troppo teatro su pochissimi punti molto chiari.
Il primo prevede che la Spagna inserisca in Costituzione il vincolo del pareggio di bilancio, come promette di fare anche la Francia di Nicolas Sarkozy. Il secondo, forse più importante benché meno capito all’esterno, obbliga d’ora in avanti lo Stato spagnolo a dare priorità al debito: sembra una formalità , invece è la stessa svolta che ha permesso per esempio alla California di mantenere la fiducia dei mercati anche quando era in difficoltà . Questa regola di Zapatero modello-California significa che il rimborso del debito da ora in poi in Spagna verrà per forza prima del pagamento degli stipendi pubblici o dei fornitori dello Stato. Non è dunque un caso se il premio di rischio, o «spread», di Madrid per indebitarsi è passato nelle ultime settimane sotto a quello di Roma. Gli investitori sanno che avranno priorità nella gestione di bilancio della Spagna, dunque sono più disposti a concedere prestiti a Madrid a tassi più bassi di quelli richiesti a Roma. Il rischio di una crisi di liquidità che renda il debito insostenibile si riduce con la pura forza della credibilità politico-istituzionale, senza spendere un centesimo.
Ovviamente anche la Spagna ha un percorso di austerità che mira a ridurre il deficit dal 9,2% del Pil di quest’anno al 3% nel 2013. Ma l’impegno maggiore, quanto ai numeri, lo sta mettendo sul tavolo in questo momento il Portogallo. Il nuovo ministro delle Finanze Vitor Gaspar, un supertecnico che viene dalla Bce, ha alzato il velo ieri su un piano draconiano e lineare: l’obiettivo è ridurre il disavanzo dal 9% del 2010 al pareggio nel 2015 con un programma imperniato sui tagli di spesa, non sugli aumenti delle tasse. Due terzi della correzione dovrà venire da interventi che non risparmieranno il welfare (con dolorosi tagli a doppia cifra nella sanità ), prolungheranno il blocco degli stipendi fino al 2013 e imporranno un’imposta di solidarietà sui redditi più alti sul modello francese.
Quello di Lisbona è un piano drammatico, ma senza alternative. La bassa competitività dell’economia lusitana e la percezione nel mercato che il debito della periferia dell’euro non è più sicuro da quando la Grecia è di fatto insolvente, impongono a Lisbona di evitare gli zig-zag. Gaspar sa che l’alternativa è non poter più accedere al mercato per finanziarsi, dunque l’insolvenza e forse l’uscita dall’euro. È la stessa consapevolezza che ha spinto l’Irlanda a ridurre a doppia cifra gli stipendi pubblici e a mantenere l’economia liberalizzata: il mercato la sta premiando, il premio di rischio su Dublino cala e l’uscita dal tunnel un po’ più vicina.
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