Palestina. Tra bandiere e tensioni la festa è pronta

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RAMALLAH. I bulldozer lavorano senza sosta per spianare la collina di fronte al mausoleo di Yasser Arafat a fianco della Muqata, il Palazzo presidenziale di Abu Mazen. Preparano una grande piazza per i «festeggiamenti dell’indipendenza». Novantaquattro bandiere di nazioni che hanno già  riconosciuto lo Stato palestinese circondano la spianata e le vie adiacenti sono già  state dedicate ad alcuni di quegli Stati, come il Cile e il Brasile, fra i primi a sostenere la decisione di Abu Mazen di ricorrere all’Onu per l’indipendenza della Palestina, a più di sessant’anni dal voto delle Nazioni Unite che istituiva due Stati su questa terra.
Il clima a Ramallah, come Nablus, come a Hebron – le principali città  della Cisgiordania – il clima è da festa di piazza. Fanno grandi affari venditori delle bandierine palestinesi unite a quella bianca con la scritta Palestine 194, le t-shirt vanno a ruba al mercato, nei bar e nei caffè si preparano i maxi-schermi per vedere in diretta il discorso del presidente Abu Mazen, dal podio dell’Onu, dove chiederà  il riconoscimento della Palestina come Stato per «riparare a un’ingiustizia della Storia», come ha già  detto nel suo discorso di venerdì scorso, andato in diretta tv, prima di preparare le valigie per New York.
Il dispositivo di sicurezza per questa settimana è a livello «rosso». Gli israeliani hanno mobilitato anche reparti di riservisti per far fronte all’emergenza, per il possibile “deragliamento” delle annunciate manifestazioni dei palestinesi. E che lungo i confini con Libano, Siria e Giordania possano esserci nuove proteste dei profughi che vivono in quei Paesi. Ma nessuno sta parlando di una “terza intifada” nelle strade di Ramallah. I palestinesi hanno imparato la lezione e hanno anche capito che devono concentrarsi su una lotta popolare nello stile della “primavera araba” – cortei, manifestazioni – ma niente kamikaze o a attacchi terroristici come era nel loro precedente modus operandi. Tutte le attività  previste a partire da mercoledì prossimo sono state organizzate da uno staff creato ad hoc: U. N. Palestine State n°194. Le manifestazioni stando alle indicazioni degli organizzatori si dovranno svolgere nel centro di ogni città  della Cisgiordania evitando le zone di «confine» dove dall’altra parte del Muro saranno schierati i militari israeliani. «Dalla nostra parte non ci dovranno essere né provocazioni né caos», ha ordinato Abu Mazen ai responsabili della sicurezza palestinese, «tenete la gente lontano dai check-point, evitare frizioni con gli israeliani». È una festa, la festa della Palestina, e tale deve restare. Per dare un peso all’ordine del presidente, la leadership palestinese ha reclutato Abdallah Abu Rahma, un avvocato leader del movimento non-violento, come coordinatore delle iniziative. «Dimenticate “la terza intifada”», dice a Repubblica Hafez Barghouti direttore del più importante giornale palestinese, «siamo convinti che oggi solo la resistenza pacifica può portare risultati». Sarà  anche per questo che per la prima volta dopo anni Israele ha accettato di rifornire la polizia palestinese di gas lacrimogeni anti-sommossa.
Al check-point Qalandya – il più usato dai palestinesi perché è il più vicino a Gerusalemme – e in altri punti di possibile attrito gli agenti della sicurezza palestinese si sono già  «sparsi tra la gente, in borghese, pronti a rompere la testa di chi cercherà  di creare disordini». Certo per i palestinesi ottenere il riconoscimento alle Nazioni Unite – a quale livello di status lo scopriremo solo la prossima settimana – non ha alcun potere politico reale immediato, la sostanza sul terreno non è destinata a cambiare dall’oggi al domani e – come sa bene Abu Mazen – è al tavolo delle trattative con Israele che si deciderà  il futuro della Palestina. Ma intanto anche solo come “Paese osservatore” riceverà  appartenenza almeno 28 organizzazioni internazionali, in primo luogo la Corte penale internazionale dell’Aja dove è possibile denunciare l’occupazione, l’illegalità  degli insediamenti – dove vivono 350 mila coloni – giudicati fuorilegge dalla comunità  internazionale, l’annessione di Gerusalemme est. La lista è molto lunga.
Ma vi sono anche implicazioni politiche. «Non c’è dubbio, Fatah e Abu Mazen saranno i vincitori assoluti, mentre Hamas perderà », dice ancora Barghouti. «Se le elezioni presidenziali si tenessero oggi Abu Mazen riceverebbe l’80 per cento dei voti. La gente ha capito che Fatah e Abu Mazen hanno spinto senza cedere alle pressioni internazionali per arrivare alla proclamazione dello Stato palestinese».
Nei corridoi della Muqata si mescolano emozioni e aspettative, ansie e tensioni palpabili perché una pagina della Storia sta per essere voltata. «Sa», dice a “Repubblica” uno dei leader palestinesi della prima ora, «Arafat ci ha guidato fino ad avere una terra ma è Abu Mazen che ci ha portato ad avere uno Stato. Nascerà  sul 22% del territorio che ci aveva assegnato l’Onu nel 1948, ma finalmente sarà  il nostro Paese».


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