Oggi il voto in Senato. Con la fiducia

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ROMA — La manovra riveduta e corretta, versione numero quattro, arriva nell’aula del Senato «blindata» dal voto di fiducia, per essere approvata nell’arco di una manciata di ore. Il pressing dell’Europa, i segnali di allarme che arrivano dai mercati finanziari e soprattutto il duro monito del capo dello Stato, che ha chiesto misure «più efficaci» per restituire credibilità  al Paese, hanno convinto il governo ad accelerare. E a rafforzare i provvedimenti per il pareggio dei conti.
«La crisi è grave, bisogna fare in fretta» ha spiegato Silvio Berlusconi in Consiglio dei ministri, motivando l’esigenza di mettere al sicuro il maxiemendamento con la quarantanovesima questione di fiducia, che il premier a metà  agosto aveva sperato non fosse «necessaria». Le opposizioni protestano, ma domani si riunisce il consiglio direttivo della Bce e il timore è che la Banca centrale europea decida di tagliare l’acquisto di bond italiani. E così, recita il comunicato stampa della presidenza del Consiglio, la fiducia è stata imposta per via della «gravità  del contesto internazionale di crisi finanziaria».
Un’altra giornata convulsa. Al Senato la riunione dei capigruppo convocata per le 12 slitta alle 15.30 e poi ancora alle 16, segno che qualcosa sta per accadere. E infatti all’una Berlusconi rientra a Roma dopo giorni di assenza dalla Capitale e convoca un vertice di maggioranza. A Palazzo Grazioli salgono Giulio Tremonti, Roberto Calderoli e i capigruppo Fabrizio Cicchitto, Maurizio Gasparri e Federico Bricolo. Due ore di discussione per trovare l’accordo su un nuovo testo, destinato ad approdare in Senato a notte inoltrata dopo una lunga serie di modifiche. Alle 18 si riunisce «in via d’urgenza» il Consiglio dei ministri e dà  il via libera alla fiducia. E alle sette della sera il ministro della Giustizia, Nitto Palma, chiede pazienza: «Tra due ore — dice lasciando Palazzo Chigi — trasmettiamo il maxiemendamento». Come vanno i rapporti con la Lega? «Tutto bene, il clima è sereno» assicura il Guardasigilli.
Sono le 16 e 30 quando l’inquilino di Palazzo Madama, Renato Schifani, apre i lavori su un testo che ancora non c’è. «Anche il presidente del Senato, che aveva provato a evitare la fiducia — lo sfida il capo dei senatori dell’Idv, Felice Belisario — prende uno sganassone come noi». Dalla risposta di Schifani trapela il rammarico per non essere riuscito a evitare la fiducia: «Mi sono mosso sapendo che posso esercitare solo una moral suasion — spiega il presidente — Non me ne pento, ma occorre coniugare l’ampiezza del dibattito con l’esigenza di tempi celeri per approvare il decreto».
L’attesa del testo si rivela assai più lunga del previsto. «Arriverà  a sera, molto tardi» conferma il presidente della commissione Bilancio e relatore di maggioranza, Antonio Azzolini. Ma Stefano Ceccanti, veltroniano del Pd, è pessimista: «Secondo me il testo non sarà  pronto fino a ora di pranzo…». Conclusa ieri sera la discussione generale sul vecchio testo, oggi alle 9.30 l’aula del Senato riapre i battenti. L’obiettivo è approvare in giornata il decreto, che poi passerà  alla Camera dei deputati.
I mal di pancia sono forti, soprattutto in casa leghista. Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, fa trapelare il suo malumore per i tagli agli enti locali e la misura sull’età  di pensionamento delle donne nel settore privato. Soddisfatti invece i «frondisti» del Pdl, Guido Crosetto, Giorgio Stracquadanio e Isabella Bertolini. Il percorso è stato «incerto e talvolta rischioso», gli italiani hanno visto passare «come in un videogame i mostri dell’inferno delle aliquote e della gogna fiscale», ma adesso i parlamentari che avevano fatto ballare la coalizione sono contenti: «Sono state adottate molte delle nostre proposte…».


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