Obama taglia il Pil, le Borse frenano
NEW YORK – Qualcuno lo chiama “il grande tradimento” di Christine Lagarde. Mandata al Fondo monetario internazionale grazie all’unanime sostegno dei governi europei, l’ex ministro dell’Economia francese ora si rivolta contro i suoi colleghi dell’altroieri. E si trasforma in una implacabile accusatrice. E’ dal Fmi che arrivano infatti le bordate più tremende sull’eurozona: in particolare l’allarme sui bilanci delle banche europee. La polemica tra Fmi, Bce e governi europei ha contribuito a incrinare l’atmosfera euforica che aveva segnato l’inizio della settimana a Wall Street e in quasi tutte le Borse del mondo. Sorprendente settimana, in cui una serie di rialzi consecutivi dei mercati sembravano aver cancellato ogni traccia di paura: finito l’allarme recessione, finita la paura di default sovrani? Forse un po’ troppo bello per essere vero. Ieri sera Wall Street ha ripiegato dopo che le Borse europee avevano avuto una giornata contrastata pur chiudendo in lieve rialzo. Oggi esce il dato sull’occupazione negli Stati Uniti, preceduto da diffusi timori: non a caso hanno ripreso a scendere i rendimenti sui titoli del Tesoro Usa, con i buoni decennali che ieri hanno visto l’interesse al 2,16%. E’ rispuntata così la paura della recessione, che genera ondate di acquisti di Treasury Bond e ne fa scendere il rendimento. Lo stato di salute reale dell’economia americana sta diventando, per usare la celebre espressione di Winston Churchill, “un enigma avvolto in un mistero”.
Gli ottimisti puntano l’indice sul fatto che la settimana scorsa è sceso il numero di richieste di sussidi per disoccupazione; la produzione manifatturiera è in salita per il 25esimo mese consecutivo; e le vendite di auto vanno a gonfie vele per General Motors, Chrysler e Nissan. I pessimisti citano, tra gli ultimi dati, il calo dello 0,7% della produttività del lavoro che è un dato anomalo se ci fosse davvero una ripresa. Lo stallo politico non aiuta: ieri Barack Obama e i repubblicani hanno passato la giornata a litigare sulla data del discorso presidenziale che dovrebbe lanciare un nuovo piano per l’occupazione. Vista la difficoltà a concordare la data di un discorso (alla fine sarà l’8), le probabilità che il piano stesso passi con l’accordo bipartisan sembrano limitate. La stessa Casa Bianca ieri ha dovuto rivedere al ribasso le sue proiezioni di crescita, tagliandole di un intero punto percentuale: ora prevede l’1,7% di aumento del Pil in tutto il 2011.
Nell’attesa del dato di oggi sull’occupazione Usa, la questione delle banche europee è il “tormentone” che può spezzare l’atmosfera euforica dell’inizio settimana. Il Fmi, usando i prezzi dei credit default swaps, giunge a un verdetto pesante: c’è un buco di circa 200 miliardi di euro nei bilanci delle banche dell’eurozona. La ragione di questa voragine nascosta: le banche non hanno calcolato adeguatamente il deprezzamento dei titoli pubblici dei paesi a rischio cioè Grecia, Irlanda, Portogallo, Italia, Spagna e Belgio. Per il calo di valore di quei titoli, la capitalizzazione delle banche ha perso tra il 10 e il 12%. Urge quindi la costosa ricapitalizzazione che Christine Lagarde sta invocando. Uno studio di Morgan Stanley le dà implicitamente ragione poiché indica che entro fine anno le banche europee devono ottenere almeno 80 miliardi di capitali freschi. La proposta Morgan Stanley: visto che i mercati non hanno fiducia e non sottoscriverebbero aumenti di capitale delle banche, visto che gli Stati non hanno risorse da spendere, non resta che usare le banche centrali per un’operazione di aiuto straordinario. Ma è una soluzione inaccettabile per il partito del rigore, che ha nella Germania il suo pilastro. Lo dimostra la nuova uscita del banchiere centrale tedesco Jens Weidemann. Il presidente della Bundesbank è molto critico sul compito che si assume la Bce acquistando titoli del paesi in difficoltà . «Sul lungo periodo – dice Weidemann – queste misure logorano la fiducia nelle banche centrali».
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