Obama porta in tribunale le banche chiesti i danni per la crisi dei mutui

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NEW YORK – Gli Stati Uniti all’attacco delle proprie banche: ridateci i soldi che ci avete fregato vendendoci assicurazioni e mutui che erano carta straccia. Neppure l’ultimo dei comunisti avrebbe mai sognato che nel paradiso del capitalismo si sarebbe un giorno arrivati a questo. Ma la mossa del governo – nella fattispecie della Federal Housing Finance Agency – è solo l’ennesimo passo del pericolosissimo balletto in cui le istituzioni federali si sono avvinghiate ai colossi di Wall Street: con l’apice spettacolare di quel casquet chiamato recessione.
L’agenzia che sovrintende ai giganti dei mutui Fannie Mae e Freddie Mac ha deciso di citare in giudizio una dozzina di colossi bancari per perdite da 30 miliardi di dollari. E le banche ora tremano: da Jp Morgan Chase a Goldman Sachs passando per Bank of America e Deutsche Bank. Non è una bella notizia per il comparto già  sotto pressione sui rischi di liquidità  e solvibilità .
Goldman Sachs perde il 4,7%, Citigroup il 5,6% e Bank of America addirittura l’8,1%. Il motivo? Sempre Washington ha chiesto al colosso di approntare un vero e proprio piano di emergenza nell’evenienza di giorni più bui.
La banca – pronta a tagliare fino a 7mila dipendenti – è stata del resto già  raggiunta da un’altra richiesta di indennizzo: il gigante delle assicurazioni Aig ha chiesto 10 miliardi di danni ancora una volta per quelle maledette «securities» che non erano per niente sicure. Che pasticciaccio. Fannie e Freddie sono le compagnie nate sulla spinta del governo negli anni della Grande Recessione – quella terribile dopo il 1929 – per far ripartire il mercato immobiliare. Per ottant’anni hanno coperto le spalle alle famiglie Usa garantendo sui debiti dei loro mutui. Peccato che per finanziarsi avessero fatto ricorso anche loro a quelle «securities» confezionate dalle grandi banche e garantite, va detto, da quelle stesse agenzie di rating che oggi hanno picchettato la tripla A d’America. Risultato – Fannie e Freddie sono finite sul lastrico e lo Stato, cioè il contribuente, ha finora speso 140 miliardi di dollari per tenerle in piedi ed evitare la disintegrazione totale del sistema.
Naturalmente le banche si difendono e giurano che non ci sia stata nessuna mancanza di due diligence, sostenendo cioè che loro abbiano agito con la dovuta diligenza, mentre la colpa era delle condizioni globali del mercato, che avrebbero ingannato un po’ tutti. Ma presentando la denuncia alla prima delle banche, la svizzera Ubs, un mese fa, la stessa Federal Housing Finance Agency, che dopo la crisi è stata messa a guardia di Fannie e Mac, parlava esplicitamente di «dichiarazioni false» per garantire le 16 securities vendute dal 2005 al 2007. Falsità , imbroglio. E non è solo lo stato a chiederne il conto: già  una cinquantina di procure in tutti gli Usa hanno fatto causa alle banche danni per 20 miliardi di dollari raccogliendo le varie istanze avanzate dai privati. I colossi annunciano ovviamente battaglia: colpendo noi, dicono, si colpisce fra l’altro il mercato immobiliare che sta tentando la ripresa.
Il fatto è che neppure Fannie e Freddie sono senza peccato. Anzi. Proprio l’ingordigia finanziaria negli anni prima dello sboom ha spinto i due istituti a esporsi per centinaia di miliardi di dollari: al punto che lo Stato dovette intervenire per ri-nazionalizzarli. «Si comportarono più come hedge funds che come garanti del governo» dice al New York Times un signore che se ne intende. Si chiama Tim Rood e fino a cinque anni fa lavorava proprio per Fannie Mae: prima di passare allegramente dall’altra parte della barricata, con quelle banche che adesso i due colossi accusano.


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