Non siamo in vendita, per un’alternativa a tagli e privatizzazioni

by Sergio Segio | 27 Settembre 2011 6:35

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Sono drammatiche le prevedibilissime conseguenze sociali dell’operazione, approvata dal Parlamento più delegittimato dell’intera storia repubblicana: riduzione dei servizi offerti ai cittadini (dai trasporti pubblici al welfare) e contrazione della capacità  di stimolare investimenti. Pagano sempre gli stessi – è stato detto non a torto – e vengono messi in discussione non solo diritti fondamentali, ma la possibilità  stessa di affrontare la crisi economica e finanziaria con coraggiose risposte alternative.
Nel dibattito pubblico delle ultime settimane, poca attenzione è stata però dedicata alla portata degli articoli 4 e 5 del Decreto Legge 138. Articoli che contraddicono il pronunciamento di oltre ventisette milioni di italiani (la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto) che, con i referendum del 13 giugno scorso, avevano detto un secco «no» alla gestione privatistica del servizio idrico integrato, ma avevano anche segnato una netta inversione di tendenza nei confronti di tre decenni di cultura e pratica della privatizzazione selvaggia di tutto ciò che è patrimonio comune. Articoli che impongono, con la scadenza vincolante del prossimo 31 marzo 2012 e pochissime eccezioni, la forzata vendita (perciò la svendita) della gestione dei servizi pubblici essenziali, che oggi i Comuni, anche attraverso le aziende partecipate, assicurano ai cittadini. Decenni di ubriacatura neoliberista hanno dimostrato come le privatizzazioni non abbiano affatto risolto i problemi di inefficienza, burocratizzazione e spartizione partitica delle vecchie municipalizzate, ma si siano invece tradotte in nuovi monopoli e oligopoli, che hanno comportato aumenti indiscriminati delle tariffe, peggiore qualità  dei servizi e smarrimento di qualsiasi potere di indirizzo e controllo democratico.
Per questo, proprio nel momento in cui sono sottoposti, al pari dei diritti e delle condizioni di vita dei «molti», al più pesante attacco mai registrato, non solo alle proprie finanze, ma alla capacità  stessa di esercizio della propria costituzionale autonomia, e quindi alla possibilità  effettiva di autogoverno dei beni comuni da parte delle comunità  territoriali, si rivela più che mai necessaria una nuova stagione di protagonismo politico dei Comuni.
Occorre ripartire dalla partecipazione diretta dei cittadini al governo locale e dalla costruzione di un nuovo patto: anche da qui può nascere una reale alternativa, sociale e politica, alla crisi che abbiamo di fronte. Per queste ragioni abbiamo partecipato, come amministratori locali, all’assemblea che si è svolta sabato a Roma in vista della grande mobilitazione del 15 ottobre. Per queste ragioni, riteniamo sia giunto il momento di ritessere una fitta ed estesa rete che connetta chi, nei Comuni, cerca di sperimentare la difesa e il governo, democratico e partecipato, dei beni comuni. Per queste ragioni, vogliamo confrontarci con chiunque sia disponibile a «sabotare» praticamente gli effetti della manovra governativa per le nostre città : dai ricorsi costituzionali alla costruzione di una possibile proposta referendaria. Noi ci siamo.
* assessori comunali ai beni comuni di Napoli e Venezia

 Per contatti e adesioni: comuniperibenicomuni@gmail.com[1]

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