No dei mercati, divario record Bund-Btp

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MILANO — Acquisti in Germania e vendite in Italia. E in Grecia, dove il rendimento dei titoli di Stato a due anni ha toccato il 45,92%, valore record da quando Atene è entrata nell’euro. E’ quello che è successo ieri sui mercati obbligazionari europei, dove il differenziale tra i Btp e i Bund decennali è arrivato a toccare i 331 punti base (dati Tradeweb) per poi scendere a 328. L’aumento rispetto all’apertura del mattino (301) si avvicina al 10%.
In serata i Btp sul mercato dovevano garantire un rendimento 5,29% contro il 2,01% della concorrenza tedesca (scesa durante le contrattazioni, per la prima volta, sotto il 2%). Così, tra tassi tedeschi in discesa e italiani in salita, ieri lo spread Roma-Berlino è arrivato al nuovo massimo dall’avvio degli acquisti di titoli di Stato italiani e spagnoli da parte della Bce lo scorso 8 agosto.
La giornata era già  iniziata male per i Btp, alle prese con l’incertezza che continua ad aleggiare intorno alla manovra sui conti pubblici. Le cose sono poi ulteriormente peggiorate — a livello internazionale — con il dato sotto le attese sui nuovi posti di lavoro negli Stati Uniti. Il saldo netto, a quota zero, ha alimentato i timori sull’economia più grande del pianeta e quindi sulla situazione internazionale, favorendo la fuga degli investitori verso i titoli considerati più sicuri, primo fra tutti il Bund tedesco.
In questo contesto di avversione al rischio, il sostegno ai Btp è arrivato dalle banche centrali, che dopo l’ormai consueto intervento mattutino, hanno replicato gli acquisti anche nel pomeriggio, puntellando i Btp a ridosso dell’uscita dei dati americani, secondo quanto riferito a «Reuters» da alcuni operatori. Per il resto, stando agli stessi «dealer», gli unici movimenti sulla carta italiana sarebbero stati in uscita. E il costo dei Cds (le assicurazioni contro il default) sui Btp a cinque anni ha superato il record dello scorso 5 agosto.
Record anche per l’indice (SovX Western Europe) che misura l’onere delle assicurazioni sul debito pubblico in Europa occidentale. «L’Italia ha ridotto gli sforzi di austerità », ha detto ieri Hans Werner Sinn, presidente dell’istituto economico tedesco Ifo.
Intanto un altro spread decennale, quello Italia-Spagna, viaggia ormai intorno ai 20 punti base, dopo il «sorpasso» delle settimane scorse, mentre il differenziale Grecia-Germania è addirittura a 1.668 punti. Dietro il numero a quattro cifre c’è lo stop di ieri alle trattative tra Ue, Bce, Fmi e Atene per la nuova tranche da 8 miliardi di euro per il salvataggio dei conti ellenici. I funzionari della troika internazionale hanno ieri lasciato improvvisamente Atene: un avvertimento prima della ripresa dei negoziati tra 10 giorni.
La nuova tranche sarebbe infatti in forse se Atene non agirà  concretamente per rispettare i tempi del proprio piano di austerità  e non sanerà  un nuovo buco nel budget di quest’anno, ha scritto il «Financial Times».


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Non è un problema tecnico. Non c’era bisogno di particolari competenze ingegneristiche o finanziarie per capire, fin dal 21 aprile di due anni fa, quando al Lingotto fu presentato in pompa magna, che il piano «Fabbrica Italia» stava sulle nuvole. Anche un bambino si sarebbe reso conto che quella produzione da aumentare dalle 650.000 auto del 2009 al milione e 400mila del 2014, quel milione di veicoli destinati all’esportazione di cui «300.000 per gli Stati Uniti» (sic!), quel raddoppio o poco meno delle unità  commerciali leggere (dalle 150 alle 250mila) in meno di quattro anni, erano numeri sparati a caso. Così come quei 20 miliardi di euro d’investimenti in Italia (i due terzi dell’intero volume mondiale del Gruppo Fiat!), senza uno straccio d’indicazione sulla loro provenienza, senza un piano finanziario serio e trasparente, erano un gigantesco buio gettato sul tavolo verde.

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