Nel governo c’è chi pensa al condono

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ROMA – Tremonti dice di no, perché è una misura «una tantum». Eppure il partito del condono cresce in Parlamento e nel governo. Soprattutto dopo la recente stretta all’evasione, con le manette immediate per i grandi evasori, la pubblicazione online dei redditi di tutti, l’inserimento delle coordinate bancarie nelle dichiarazioni di redditi e Iva, i Comuni esattori occhiuti. Insomma, si chiede la carota dopo il bastone. A conferma dell’aria annusata e denunciata dal Pd di Bersani. E ufficializzata dal ministro delle Politiche agricole, Saverio Romano, che preoccupato dall’esigenza di far cassa ieri ripeteva: «L’unico modo per evitare di colpire i soliti noti è fare ricorso agli ignoti. O perseguendoli, come il governo fa con questa manovra, oppure blandendoli cioè convincendoli a pagare di meno».
Il ministro dell’Economia rifiuta, però, l’ipotesi. Lo ufficializza in commissione Bilancio del Senato nel giorno in cui deposita il maxi emendamento del governo, numero 1-1000, giovedì scorso. La notizia arriva solo ieri, dopo la pubblicazione del resoconto sommario della seduta parlamentare, svoltasi a porte chiuse. Tremonti risponde al senatore Barbolini del Pd, che lo incalza sull’inopportunità  di procedere a nuovi misure di condono, rassicurandolo che non lo userà  «poiché si tratterebbe di un intervento una tantum che genera introiti di cassa, ma che non modifica l’assetto della finanza pubblica». Così come esclude altri scudi fiscali: «Sussiste anche l’esigenza di evitare interventi singoli di rimpatrio di capitali che forniscano un gettito solamente una tantum», registra il resoconto.
A conferma che l’aria di condono è più di uno spiffero, arriva però anche la dichiarazione del deputato Pdl Baccini: «Ha un senso se viene accoppiato ad una riforma del sistema di tassazione». Non adesso, dunque, ma nella delega fiscale a cui sono affidati 20 dei 55 miliardi della manovra bis. «Tremonti si scordi nuovi condoni, faremo una vera e propria guerriglia parlamentare», reagisce Boccia del Pd.
Di fatto, una via è già  stata aperta dalla sanatoria sulle liti pendenti fino a 20 mila euro della manovra di luglio. Quel limite ora potrebbe essere alzato o tolto. E le percentuali da pagare abbassate (erano 10, 50 e 30%, rispettivamente se il contribuente ha vinto in uno dei gradi di giudizio con il fisco, se ha perso, se il giudice non si è pronunciato). Poi c’è il caso della sanatoria Iva del 2002, dichiarata illegittima dalla Corte di Giustizia europea nel 2008. Da incassare ci sono ancora 4,2 miliardi, secondo la Corte dei Conti. In realtà , poco più di uno, secondo l’Agenzia delle entrate (il resto è inesigibile). Il punto è che il Fisco ha l’obbligo di denunciare alla procura chi ha evaso (lo stabilisce la Consulta con la sentenza del 25 luglio 2011). Dunque è obbligato ad accertare, entro la fine di quest’anno, la maggior parte di quel milione di soggetti, anche grosse aziende quotate, che aderirono a quel condono, poi tramontato. Un pasticcio da sanare. Con un altro condono?


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