Muore il suo rapitore, lei lo piange sul giornale
NUORO – «Sì, è vero: ho fatto una necrologia per partecipare al dolore delle sorelle di un uomo che è stato condannato per il mio rapimento: ma sono stata spinta solo dal rispetto e dall’amicizia nei loro confronti, non dall’idea di perdonare il mio carceriere». Cristina Berardi, 49 anni, ora fa l’insegnante. Figlia di un costruttore romano arrivato a Nuoro nel 1946 (che dopo il blitz dell’Anonima ha perso tutto il patrimonio), nell’isola rimase per quattro mesi in ostaggio dei banditi nel 1987. E oggi, a 24 anni dai fatti, quasi non riesce a comprendere lo scalpore suscitato dalla sua iniziativa. Nessuna sindrome di Stoccolma, comunque: «Ho solo rapporti personali e professionali di stima con due delle più strette parenti dell’uomo a suo tempo finito sotto accusa», tiene ancora a chiarire Cristina Berardi.
La sua odissea, cominciata in una mattina di primavera nel paese di Villagrande Strisaili, si era conclusa solo nell’autunno successivo in un’area impervia tra i vicini centri di Arzana e Seui. Dopo la liberazione, la donna era stata rimandata a insegnare in Ogliastra, la stessa zona della Sardegna dove le aveva teso l’agguato il commando di fuorilegge che la tenne segregata in montagna per 120 giorni. Ma considerato che il padre aveva subito diversi attentati e che c’era il rischio che la figlia potesse di nuovo finire sotto tiro, al termine di una polemica che aveva pesantemente investito il ministero della Pubblica istruzione, Cristina Berardi aveva ottenuto il trasferimento nella sua città , il capoluogo della Barbagia. Da allora lavora nel circuito delle biblioteche scolastiche. Presta infatti servizio alle elementari di Nuoro. Ed è appunto in quest’ambiente che ha conosciuto e avuto modo di apprezzare Maria Grazia e Tina Ara, sorelle di Gianfranco Ara, considerato dai giudici uno dei telefonisti della banda, condannato a 28 anni di reclusione e rimesso in libertà dopo averne scontati 15. L’uomo pochi giorni fa è stato trovato morto, in circostanze all’inizio apparse oscure, in una zona di Nuoro frequentata solo da coppiette e tossicomani. Nelle ore successive si è poi chiarito che il decesso è avvenuto per cause naturali.
Appena appresa la notizia, l’ex ostaggio dell’Anonima ha così deciso di far pubblicare la partecipazione al lutto sul quotidiano «La Nuova Sardegna». Semplice e toccante il messaggio: «Sono vicina a Maria Grazia e a Tina per la tragica scomparsa del fratello Gianfranco, con profondo rispetto e affetto. Cristina».
«Ecco, io non so di che cosa ci si stupisca», spiega adesso la figlia Cristina, visibilmente contrariata dall’interesse nato per la necrologia. «La nostra è una piccola città , ci conosciamo un po’ tutti e il mio è stato solo un gesto di amicizia», non si stanca di ripetere al telefono. Lei non lo dice, ma negli annali del banditismo sardo le cronache del suo rapimento, soprattutto all’indomani della liberazione, avevano registrato inedite anomalie. Ara infatti è stato il solo condannato in una organizzazione che era di sicuro composta da diversi pezzi da novanta della delinquenza sarda. Si è infatti sempre sospettato che ne facessero parte alcuni dei più pericolosi componenti dell’Anonima di quell’epoca. A rendere vani gli sforzi fatti dagli inquirenti per incastrarli ha però contribuito un’altra stranezza: la sparizione dagli uffici giudiziari, ad anni di distanza dalla confisca, dei reperti trovati nel luogo dove Cristina Berardi aveva potuto riacquistare la libertà . Ennesima circostanza enigmatica in una storia criminale che nel tempo ha assunto spesso le tinte di un giallo dai contorni drammatici.
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