Moody’s riaccende i fari sull’Italia

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Quando tre mesi fa lanciò il suo avvertimento, Moody’s indicò anche un motivo di natura politica: «L’adozione di nuove misure a tutela del bilancio potrebbe dimostrarsi difficile, perché il sostegno elettorale del governo si sta indebolendo». Quel giorno Moody’s mise l’Italia sotto osservazione per un declassamento del giudizio sulla tenuta del debito. Da allora il governo ha approvato due correzioni di seguito della traiettoria del deficit, per 59 miliardi di euro. Da quando Moody’s ha parlato, l’obiettivo del pareggio di bilancio è stato anticipato di almeno due anni: al termine di un percorso caotico e incerto, il Parlamento ha approvato ieri esattamente ciò che Moody’s temeva non fosse possibile.
Questo può far sperare al governo che il declassamento sia scongiurato, ma non è affatto certo che alla fine andrà  così. Di solito Moody’s impiega tre mesi per decidere se un debitore messo sotto osservazione merita la bocciatura o no. Non sempre questa scadenza è tassativa, ma nel caso dell’Italia i tre mesi scadono alla fine di questa settimana: se l’analisi della manovra produrrà  un pollice verso fra gli analisti del gruppo statunitense, l’Italia può svegliarsi sabato mattina un gradino più in basso (oggi è «Aa2») nella scala dell’affidabilità . Il giudizio sullo Stato centrale a sua volta si scaricherebbe sugli enti locali, sulle società  pubbliche e soprattutto su decine di banche. Nel mondo post-Lehman la tenuta degli istituti è legata a quella dello Stato in cui hanno sede, perché in certi casi solo i contribuenti possono salvare i banchieri. Non è un caso se Moody’s in giugno ha messo sotto osservazione 16 banche italiane quattro giorni dopo aver fatto lo stesso con la Repubblica. Ora una bocciatura degli istituti non farebbe niente per facilitare il loro accesso al credito, oggi già  faticosissimo in molti angoli d’Europa.
La scelta di Moody’s sarebbe poi un precedente per le altre grandi agenzie di rating. Standard & Poor’s per prima a maggio aveva catalizzato i timori del mercato sull’Italia aprendo la serie delle revisioni per un declassamento. E prima o poi anche S&P’s dovrà  scogliere la sua riserva.
Facile prevedere dunque che in questi giorni a Moody’s si stia pesando ogni mossa sulla base del richiamo di tre mesi fa. Allora l’agenzia spiegò la sua mossa con il rischio che i tassi d’interesse sul debito italiano salissero, visto come i mercati stanno trattando i Paesi europei più indebitati. Previsione centrata: tre mesi fa il debito a dieci anni costava al Tesoro il 4% ma ai tassi di ieri costa circa il 5,6%, un aumento che alla lunga può far salire il deficit di più dell’1% del Pil. Tre mesi fa Moody’s ricordava anche la debolezza del Paese quando si tratta di produrre beni e servizi a costi competitivi, e la sclerosi dei mercati. Anche su questo poco è cambiato, benché l’articolo 8 della manovra possa rendere il mercato del lavoro un po’ più simile a come Moody’s lo vorrebbe. E di sicuro una manovra fatta in gran parte di tasse comporta meno crescita e meno competitività . Già  ora gli investitori tengono il premio di rischio dei Btp sui Bund a circa 400 punti: scarto record malgrado la Bce abbia già  comprato 50 miliardi in Btp, anche perché gli investitori anticipano già  la bocciatura sul rating.
Poi però Moody’s dovrà  mettere sul piatto anche altri fatti. Uno è che l’Italia, dopo aver pagato gli interessi sul debito, ha il surplus di bilancio più alto dell’area-euro: questo cosiddetto saldo primario è decisivo per far calare il debito. Per quanto piena di misure discutibili, la manovra fa salire il surplus primario ben sopra il 2% del Pil nel 2012: il Paese sarà  in grado di ripagare e far calare il suo alto debito già  dai prossimi mesi. Neppure la Germania è così avanti nel risanamento dei saldi. Ma quanto ciò conti per le agenzie di rating, si capirà  solo a partire dai prossimi giorni.
Federico Fubini


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