Milanese e quelle visite alle cassette di sicurezza

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NAPOLI — Le cassette di sicurezza di Marco Milanese potrebbero essere state svuotate qualche mese prima della richiesta di arresto presentata alla Camera dal giudice di Napoli. Nell’ultimo anno il deputato del Pdl ed ex consigliere politico del ministro Giulio Tremonti, ha avuto accesso al caveau delle banche almeno tre o quattro volte al mese, e secondo i pubblici ministeri in quelle occasioni potrebbe aver «movimentato» soldi in contanti oltre ad aver occultato alcuni documenti che riguardavano gli accertamenti avviati sulla sua attività . L’elenco delle «visite» sarà  trasmesso la prossima settimana alla giunta di Montecitorio che la prossima settimana si pronuncerà  sulla sua cattura. La riunione è già  stata fissata per il 7 settembre e in quella occasione i magistrati napoletani metteranno a disposizione dei parlamentari nuovi verbali di interrogatorio, in particolare quello del generale Cosimo D’Arrigo, l’ex comandante della Guardia di Finanza diventato testimone d’accusa contro Milanese, oltre all’ultima relazione sulle sue disponibilità  finanziarie. Carte processuali per ribadire la necessità  che Milanese entri in carcere per evitare la reiterazione del reato e l’inquinamento delle prove, così come sottolineato nell’ordinanza di custodia cautelare.
Denaro e gioielli
Era stato proprio Milanese, poco dopo l’arrivo in Parlamento del provvedimento del giudice, a sollecitare i deputati ad accogliere la richiesta del sostituto procuratore Vincenzo Piscitelli di esaminare sei cassette di sicurezza a lui intestate e acquisire i tabulati telefonici «per ricostruire i rapporti da lui intrattenuti con esponenti della Guardia di finanza». Il braccio destro del ministro dell’Economia è stato ufficiale delle Fiamme Gialle fino al 2002 e l’accusa è convinta che proprio grazie al legame con alcuni ex colleghi sia riuscito a ottenere notizie riservate sulle indagini in corso. Comprese quelle che lo riguardano. Circostanza che lui ha invece sempre negato. «Non ho niente da nascondere — ha spiegato, seguendo la linea di difesa concordata con gli avvocati Franco Coppi e Bruno Larosa — dunque voglio che siano esaminate le cassette e analizzate le mie telefonate, per svelare i miei contatti».
La relazione consegnata dai poliziotti della Digos disegna un quadro ben diverso. Nell’informativa sono annotate tutte le volte che Milanese si è recato nei caveau degli istituti di credito. E si evidenzia come una delle «visite» sia avvenuta il giorno successivo all’arresto di Paolo Viscione, l’imprenditore che poi si è trasformato nel principale accusatore del deputato Pdl raccontando di avergli consegnato soldi e gioielli. In quell’occasione — questo è il sospetto — Milanese potrebbe aver portato via denaro contante, ma anche documenti che avrebbero potuto dimostrare lo stretto legame finanziario che aveva proprio con Viscione. Incrociando le date degli accessi effettuati e le testimonianze sulla consegna delle «mazzette» sarebbero emerse nuove convergenze, suffragando l’ipotesi che quei forzieri servissero proprio a nascondere i soldi ottenuti illecitamente e che siano stati «ripuliti» poco dopo l’avvio delle indagini, tenendo conto che Milanese era consapevole di essere «coperto» rispetto a eventuali perquisizioni proprio grazie al suo incarico di parlamentare.
Nomine e potere
Per dimostrare come Milanese continuasse a esercitare il proprio potere sulla Guardia di Finanza, ma anche sulle aziende di Stato che avrebbero nominato i dirigenti da lui indicati disposti a versargli soldi e altre utilità , i pubblici ministeri trasmetteranno alla Camera alcuni verbali di interrogatorio. In particolare quello del generale D’Arrigo. In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera nei giorni della polemica scatenata da Tremonti quando aveva parlato di «cordate» interne alla Guardia di Finanza, l’alto ufficiale ora in pensione aveva negato guerre interne e affermato: «Con tutto il rispetto per la professionalità  che chiunque gli riconosce, posso dire che Tremonti non aveva il tempo per occuparsi della Guardia di Finanza e ha commesso l’errore di delegare quasi in toto la gestione del Corpo. Milanese era a volte il “perno” attorno a cui ruotavano i rapporti tra noi e il ministero, a volte era il “diaframma”, altre diventava o rappresentava una sorta di sbarramento… Certamente una distorsione… ».
Di fronte ai magistrati avrebbe rincarato la dose evidenziando come «Tremonti concesse a Milanese un enorme potere, facendo sì che a volte il vertice potesse sentirsi quasi esautorato». Un’influenza che — è questa la tesi dell’accusa — il parlamentare Pdl avrebbe poi sfruttato per i propri interessi personali. E adesso si continua a indagare sulle modalità  di assegnazione e di pagamento della casa al centro di Roma che ospitava anche Tremonti e sui rapporti con i vertici della Sogei, la società  controllata dal ministero dell’Economia dove Milanese sarebbe riuscito a orientare nomine e appalti.


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