Metti una sera con Obama assieme alla New York ebrea. Campagna per il 2012

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NEW YORK — L’enorme salone al primo piano della Gotham Hall, un’ex banca sulla Broadway e la 36esima strada, è spettacolare e un po’ kitsch, con le sue colonne corinzie, i pavimenti di marmo, le volte a mosaico e i tendaggi liberty. Solo il menù lascia a desiderare: bisteccona bruciacchiata e purea di patate con mediocre vino californiano.

Ma i 400 convitati — la maggior parte ebrei newyorkesi ma anche ricchi afroamericani accorsi dal Connecticut e da Scarsdale — che hanno sborsato dai 2.500 ai 15 mila dollari a testa non sono qui per il cibo. «L’intima cena col presidente Usa e la First Lady» con cui la campagna per la rielezione di Obama ha chiamato a raccolta i suoi più generosi sponsor, è soprattutto l’appuntamento della città  più ebraica d’America per stringersi attorno al «suo» presidente.

A qualche isolato di distanza il candidato repubblicano Rick Perry si fa fotografare con gli ortodossi di Brooklyn mentre accusa Obama di aver «tradito Israele e il popolo ebraico». Ma Norman Shaifer non ha dubbi: «Obama è il nostro candidato», spiega l’editore di Un figlio venuto dalla Polonia mentre la cantante Alicia Keys intona Empire State of Mind. «I repubblicani qui non hanno chance».

Michelle lo sa meglio degli altri. «Siete pronti a coprirgli le spalle?», urla alla platea, più ingioiellata e bella del solito, «siete pronti a vincere di nuovo?». La standing ovation che la travolge non lascia dubbi. E le presunte voci di una defezione in massa degli ebrei in seguito alla perdita del distretto 9, dopo 90 anni di regno democratico? «Frottole», ribatte Robert Vare, columnist di The Atlantic, presente alla festa «in veste privata», insieme alla moglie.

Secondo James Carville gli ebrei sono «l’unico gruppo di americani che da sempre vota contro i propri interessi economici». «Solo i buddisti sono più liberal», afferma il Pew Research Center. Non a caso l’applauso più fragoroso Obama l’ottiene quando invoca tasse più alte per l’elegante platea, gremita di vip di Wall Street. «Perché mai la segretaria di Warren Buffett deve pagare più tasse del suo capo? — li arringa Obama —. Se chiedere a un miliardario di pagare le stesse tasse di un insegnante fa di me un guerriero della middle class, sarò onorato d’indossare tale distintivo».

Certo, mancano ancora 13 mesi alle elezioni presidenziali del novembre 2012 e tutto può succedere. Non tra questi elettori. «Sono almeno 40 anni che gli studiosi profetizzano l’imminente svolta a destra dell’elettorato ebraico — osserva il politologo John Green — stiamo ancora aspettando».

Mort Bernstein, ex cardiologo in pensione che ha sborsato 10 mila dollari per due posti sotto al podio, non ha difficoltà  a spiegare come mai il 78% degli ebrei Usa nel 2008 ha scelto Obama. «I miei genitori sono venuti in America per fuggire ai pogrom — spiega —. Non abbiamo dimenticato chi siamo». La parola Israele non fa mai capolino nell’arringa di Barack e nei discorsi ai tavoli. Non ce n’è bisogno. Secondo un sondaggio della lobby ebraica liberal J-Street, Israele è solo al settimo posto nelle motivazioni di voto degli ebrei Usa, dopo l’economia, l’assistenza medica, il social Security e il Medicare.

Nello stesso sondaggio Obama risulta più popolare di Netanyahu di ben 15 punti. «Barack è il primo presidente ebreo», teorizza l’ex giudice federale Abner Mikva, suo amico personale, parafrasando la famosa frase di Toni Morrison su Bill Clinton «primo presidente nero della storia». Per crederlo basta fotografare la sala del Gotham Hall quando la first family scende tra i tavoli.


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