Messa e amore, le regole di don Gino

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MILANO — Dice don Gino Rigoldi che un cristiano deve essere strabico, «con un occhio rivolto a Gesù e l’altro alle persone, alle condizioni dell’uomo di oggi». E va da sé che per un prete che ogni mattina legge il Vangelo e poi (come se il libro sacro fosse una sostanziosa colazione) si tuffa con energia ed entusiasmo sul marciapiede, cioè nei problemi dei carcerati, dei tossicodipendenti, degli immigrati, dei bambini negli orfanotrofi, la raccomandazione è rivolta non solo ai fedeli, ma anche e soprattutto ai suoi colleghi di Chiesa.
Superati i settant’anni e dopo una vita di militanza nella vita vera della gente, don Gino, cappellano da 40 anni nel carcere minorile Beccaria di Milano e fondatore di «comunità  nuova», ha voluto riunire in un libro dal titolo emblematico Io, cristiano come voi (cioè con tutte le risorse, i difetti e i dubbi) le sue opinioni sulle cose che non vanno nel modo in cui si mettono in atto i principi della fede e del vivere civile. La messa? Nella liturgia si privilegia il tempo delle letture e dell’omelia e si liquida velocemente il momento centrale, cioè la comunione. E ancora: la ripetizione quotidiana della messa «rischia di togliere solennità ». Il peccato? Abbiamo reso banale la confessione, diamo un’assoluzione di default: i veri peccati non sono aver fatto sesso con la tua ragazza o essersi arrabbiati con qualcuno, ma l’indifferenza rispetto all’amore, alla giustizia, alla cura del prossimo. Don Gino avverte una carenza di sensibilità  dell’istituzione ecclesiastica nell’esibire la propria ricchezza (i sontuosi abiti talari delle cerimonie che richiederebbero più sobrietà , ma anche il mantenimento di interi edifici vuoti mentre il problema della casa mina il futuro di molte famiglie) e prende posizione su temi scottanti come l’omosessualità  («anche qui c’è una pratica vissuta con amore e tenerezza, rispetto e desiderio di fedeltà , una coppia stabile è un’unione di fatto con tutti i diritti che devono essere riconosciuti»).
Sono pensieri che don Rigoldi ha sempre espresso pubblicamente con toni sobri e rilassati che non smorzano, però, il coraggio delle sue posizioni (a rischio di scomunica, gli dicono spesso ironicamente); convinto, come tanti altri preti cattolici in prima linea, che una critica costruttiva dall’interno serva a restituire valore alla missione della Chiesa. Dove un prete deve saper anche ricordare ai fedeli che oltre ai valori cristiani esistono i diritti e gli obblighi civili («ogni tanto bisogna rifugiarsi nella Costituzione che ci ha definiti una repubblica non solo retributiva, ma anche distributiva»).
Eppure riletto attraverso questo libro, il Vangelo secondo don Rigoldi è un concentrato di riflessioni dirompenti che inducono a un’analisi seria e onesta. Il tema di fondo, d’altronde, è lo stesso che affligge anche le più alte gerarchie vaticane: al di là  delle grandi manifestazioni mediatiche, come conquistare, in un mondo spesso banalizzato dal consumismo e dal denaro e indurito dagli egoismi e dalle ipocrisie, il cuore della gente con le parole e l’esempio del Cristo? Per far capire che cosa intende, don Gino racconta l’episodio di un signore al quale un giovane scippatore aveva ucciso la moglie trascinandola a terra. Al processo l’uomo volle dire al ragazzo: «Adesso vai al Beccaria, impegnati a imparare un mestiere, così potrai cercare una vita onesta. Io verrò a trovarti, se ti fa piacere, e quando uscirai andremo insieme a trovare un lavoro per te, ti aiuterò a ricominciare». Vangelo puro.
Dice don Gino che non si tratta di eroismo, «perché a cercare di esser fedeli alla compagnia di Gesù non si sta poi così male. Certo si fa fatica. Ma si fa fatica anche a diventare stacanovisti del piacere. E spesso ci si ritrova in una solitudine desolante». Chi conosce questo «pretaccio» non fatica a credergli.


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