by Sergio Segio | 25 Settembre 2011 7:11
GERUSALEMME.Scemata l’euforia generata nei Territori occupati dal discorso di Abu Mazen alle Nazioni unite, apprezzato anche da non pochi dei palestinesi scettici nei confronti dell’iniziativa del presidente, la questione dell’adesione dello stato di Palestina all’Onu arriverà domani al Consiglio di Sicurezza. Il presidente di turno dell’esecutivo Onu, l’ambasciatore libanese Nawaf Salam, ha comunicato ieri di aver ricevuto dal Segretario generale Ban Ki-moon la richiesta palestinese e di averla già trasmessa agli altri 14 stati membri del Consiglio. Le possibilità di ottenere un voto favorevole sono nulle. Gli Usa schierati con Israele hanno annunciato che porranno il veto, se necessario. Ma faranno il possibile per evitarlo e proveranno a persuadere gli altri membri a sbarrare il passo alla Palestina indipendente. Perché la richiesta sia oggetto di una raccomandazione all’Assemblea Generale, i palestinesi devono ottenere almeno 9 voti su 15. A favore al momento si sono pronunciati sei Stati – Cina, Russia, Brasile, India, Sudafrica e Libano – mentre rimangono incerte le posizioni del Gabon e della Nigeria, soggetti a forti pressioni degli Stati uniti.
Venerdì sera gran parte della Cisgiordania ha gioito con canti e danze all’annuncio fatto all’Onu dal presidente. E auto con le bandiere palestinesi hanno attraversato il centro di Gerusalemme Est nonostante la massiccia presenza di forze di polizia. A Gaza – dove il governo di Hamas, rivale di quello dell’Anp a Ramallah, ha vietato le manifestazioni pubbliche – buona parte della popolazione ha seguito in tv il discorso di Abu Mazen. Ma nei Territori occupati sanno che sarà quasi impossibile superare l’ostacolo americano e lo stesso Abu Mazen, atteso oggi al rientro a Ramallah, non si fa illusioni. E se vuole confermare la credibilità che ha cominciato a costruirsi tra la sua gente dovrà fare molto di più che leggere un discorso di fronte all’Assemblea dell’Onu. Tanti, ad esempio, gli chiedono di interrompere la collaborazione di sicurezza che mantiene con Israele e che in questi ultimi anni ha visto le forze speciali dell’Anp partecipare attivamente all’arresto di decine di palestinesi. Ma non lo farà , perché vorrebbe dire l’interruzione del flusso di (generosi) finanziamenti che il governo di Ramallah riceve da Usa e Ue proprio per svolgere questa funzione di «prevenzione». Il presidente palestinese non ha intenzione di sciogliere, come gli suggeriscono da tempo, l’Anp per mettere il mondo di fronte alla realtà di una occupazione che dura da 44 anni. Per conservare il consenso che ha raccolto in questi ultimi giorni – che userà anche per mettere nell’angolo Hamas – non potrà far altro che insistere sulla fine della colonizzazione israeliana in Cisgiordania e Gerusalemme Est come condizione per la ripresa delle trattative.
Per questo motivo non sono giunte inattese le critiche del ministro degli esteri dell’Anp Riad al Malki alla proposta avanzata dal Quartetto (Usa, Ue, Russia, Onu) di rilanciare in tempi brevi negoziati con Israele per giungere a un accordo entro il 2012 perché non prevede un appello a congelare gli insediamenti colonici israeliani, nè precisa la necessità di un ritiro di Israele alle linee del 1967 antecedenti all’occupazione di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est. Il Quartetto propone di fatto ciò che il premier israeliano Netanyahu ha offerto due giorni fa all’Onu – negoziati senza precondizioni – ma con un calendario più rigido: pace entro il 2012. Ma già nel 2010 Barack Obama aveva assicurato un accordo entro il 2011 ma sul terreno non è cambiato nulla. «Il presidente Abu Mazen – ha ricordato al Malki – è stato molto chiaro quando ha stabilito che senza un totale congelamento degli insediamenti israeliani (nei Territori) la parte palestinese non potrà tornare al tavolo delle trattative». Non è un rifiuto ufficiale – può deciderlo solo il Comitato esecutivo dell’Olp – ma indica la posizione che con ogni probabilità assumeranno i vertici palestinesi. Abu Mazen inoltre si riserva di considerare la proposta di compromesso del presidente francese Sarkozy, ambigua ma che in qualche modo assicura l’adesione all’Onu della Palestina almeno come «Stato non membro». Da parte sua un dirigente di Al Fatah, Azzam al Ahmad, ieri ha riferito che i palestinesi attenderanno le decisioni del Consiglio di Sicurezza al massimo «due settimane» (sarebbe in atto una manovra Usa volta a ritardare di mesi una decisione) e poco dopo Abu Mazen ha detto di attendersi entro breve tempo una risposta alla richiesta di adesione della Palestina.
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