Malvinas, la guerra del petrolio
La compagnia petrolifera britannica Rockhopper ha annunciato di aver scoperto giacimenti di petrolio «di grande qualità » al largo delle isole Falklands/Malvinas, la cui sovranità è oggetto di contesa fra Londra e Buenos Aires. La società ha affermato di aver trivellato un pozzo a sud delle isole, nel settore detto Sea Lion (Leone di mare), fino a 2.696 metri di profondità . Si tratta del quinto riscontro positivo realizzato in quella zona dalla compagnia britannica. Le trivellazioni continueranno ora con più decisione per definire le potenzialità effettive di Sea Lion, prima dell’eventuale utilizzo del giacimento, che sembra prossimo.
Dal febbraio 2010 anche altre due imprese britanniche, la Desire Petroleum e la Falkland Oil & Gas, cercano il petrolio nelle acque dell’arcipelago, ma senza successo. Solo Rockhopper ha scoperto un giacimento potenzialmente commerciabile. Nel 2010, con le prime operazioni, la compagnia ha ipotizzato una rendita di circa 1.000 milioni di barili di crudo, ma già lo scorso agosto ha rivisto al rialzo le stime.
L’annuncio è destinato a riaccendere le proteste del governo argentino, che ha più volte diffidato i britannici dal proseguire i lavori nelle acque dell’arcipelago conteso, situato a circa 500 km dalle sue coste. Il Regno unito occupa le isole dal 1833. Da allora, fra i due paesi è stato un succedersi di reclami, rimpalli, crisi diplomatiche e qualche progetto d’invasione da parte argentina: rimasto sulla carta per un secolo e mezzo, fino al conflitto aperto del 2 aprile 1982. In 47 giorni, la guerra delle Falklands-Malvinas causò 649 morti argentini e 255 britannici e terminò con la vittoria della Gran Bretagna. In quell’ultimo scorcio di ‘900 si consumò il crepuscolo della dittatura militare argentina, che rimarrà al potere dal 1976 all’83, lasciandosi dietro 30 mila desaparecidos. Quella guerra apparve come l’estremo tentativo della giunta militare di governare una transizione democratica ormai prossima: giocando anche la carta dell’orgoglio patriottico e dell’anticolonialismo per garantirsi l’impunità .
L’atteggiamento inflessibile dell’allora primo ministro britannico Thatcher – che inviò la flotta nel Sud atlantico e si mostrò poco disponibile alla trattativa – sembrò motivato più dalla politica interna (la perdita di consenso della «dama di ferro» per le sue politiche economiche di lacrime e sangue) che dall’interesse concreto per le lontane Falklands. Tuttavia, la questione dell’oro nero era in gioco anche allora, in tempi di Guerra fredda e di conflitto tra Est e ovest. Intanto perché le Falkland-Malvinas erano in posizione strategica nel Sud Atlantico. La Nato – in primis Inghilterra e Usa – volevano impedire all’allora Unione sovietica l’accesso alla cosiddetta «giugulare marittima del petrolio», che metteva in comunicazione commerciale l’Occidente con il Medioriente e il Sudafrica. Come ricorda il recente volume di Fabio Gallina, Le isole del purgatorio (Ombre corte), già nel 1975-76, il governo inglese aveva inviato una spedizione scientifica, presieduta da lord Shackleton, per valutare l’entità delle ricchezze naturali nascoste nel sottosuolo delle Malvinas. Si scoprì la presenza del petrolio e, da allora, il governo Thatcher avrebbe escluso l’idea di un passaggio di sovranità all’Argentina, elaborando anzi piani di difesa in caso di invasione.
I governi argentini che si sono succeduti dopo la caduta della giunta militare non hanno smesso di reclamare per via diplomatica il possesso delle isole, e – a quasi trent’anni da quel conflitto – la potenzialità petrolifera delle isole costituisce ancora uno dei punti di maggior frizione. Per il governo di Cristina Kirchner, ogni trivellazione nelle Malvinas costituisce «una nuova provocazione». Dal primo annuncio effettuato da Rockhopper, Buenos Aires ha protestato, ha chiesto spiegazioni a Londra e disposto che ogni imbarcazione in transito tra l’Argentina e l’arcipelago australe deve chiedere un’autorizzazione al suo governo. Ma per il primo ministro britannico David Cameron la sovranità delle Falkland «non è negoziabile». La Gran Bretagna ha rifiutato anche una possibile mediazione Usa. Cristina, appoggiata dall’Organizzazione degli stati americani (Osa), ha protestato contro «il dispiegamento bellico» britannico nelle zone limitrofe alle Malvinas e ha chiesto l’intervento dell’Onu. «Solo l’arroganza di una potenza coloniale in decadenza – ha detto la presidente argentina – può pensare di mettere da sola il punto a una disputa sulla sovranità , in spregio ai numerosi inviti al negoziato».
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