by Sergio Segio | 16 Settembre 2011 6:58
MILANO – L’annuncio è lì che brilla beffardo sullo sfondo azzurro dello schermo partenze: «Ora prevista: 16.30. Destinazione: Parigi Charles De Gaulle. Air France AF01715. Gate A09». Meglio goderselo adesso. La grande fuga da Malpensa continua. Tempo un mesetto, poi anche questo volo sparirà , direzione Linate (fratelli coltelli), assieme a tutti quelli della compagnia francese per la Senna. «Se penso a quello che prometteva la politica nel 2008, alla vigilia delle elezioni, mi viene da piangere», scherza Nino Cortorillo, segretario lombardo della Filt-Cgil. «Malpensa non si tocca», tuonava l’aspirante premier Silvio Berlusconi. «La salveremo noi», garantiva Bossi, l’Alberto da Giussano dei cieli padani. Risultato? I 23,4 milioni di passeggeri che passavano dai check-in nel 2007 si sono ridotti a 18,9. «E noi invece che aspettare 30-35 minuti per un cliente, come accadeva allora, stiamo in fila sotto il sole o la pioggia almeno per tre ore», si lamentano i taxisti, incolonnati in un interminabile serpentone lungo 300 metri davanti agli arrivi.
L’elenco dei desaparecidos dai radar di Malpensa è sempre più lungo. Alitalia – girata dal governo Berlusconi-Bossi alla cordata di patrioti – si è trasferita armi e bagagli a Fiumicino. Lufthansa, candidata a sostituirla, ha alzato bandiera bianca e tra un mese sposterà altrove i suoi otto aerei che facevano base in brughiera. E ora, dopo Air France, si trasferirà a Linate pure Klm. Il sogno dell’hub? svanito nel nulla. «Come quel consiglio dei ministri che il governo aveva promesso di tenere a Malpensa subito dopo le elezioni e che non si è mai visto», si lamentano i dipendenti della Sea in attesa di passeggeri ai check-in.
I colpevoli del flop? Nessuno lo dice a microfono aperto. Ma girando nel duty-free mezzo deserto e alla consegna bagagli dove – segno dei tempi – un tubo rotto fa cadere una pioggerellina sottile, in pochi hanno dubbi: «Dovevano decidere se salvare Alitalia o Malpensa. E alla fine hanno scelto la compagnia», riassume per tutti Cortorillo. Lasciando all’aeroporto il cerino in mano. Bruno Tabacci, assessore al bilancio del Comune di Milano, impegnato nella mission sempre più impossible (viste le condizioni dei mercati) di quotare la Sea, conferma: «L’operazione Alitalia è stata un errore, è chiaro. L’abbiamo regalata assieme ai cieli del nord ai francesi, ma Malpensa è forte e sostituirà chi se n’è andato con altri, forse gli arabi».
In attesa dei salvatori dal Golfo, Giuseppe Bonomi, numero uno della società di gestione, si è ingegnato a tappare i buchi lasciati da Alitalia riuscendo persino a chiudere i conti in utile. Ma il traffico, qui lo ammettono tutti, non è più quello di una volta. «Guardare per credere!». Il colore che domina sul tabellone delle partenze è l’arancione della Easyjet, la low cost su cui si imbarca un passeggero su quattro di quelli che passano a Malpensa. «Viste le circostanze vedo il bicchiere mezzo pieno – si consola Raffaele Cattaneo, assessore alle infrastrutture della regione Lombardia in forza a Pdl e da sempre grande paladino dello scalo –. Se non avessimo puntato i piedi forse sarebbe andato tutto gambe all’aria. E in fondo l’aeroporto dopo il 2007 ha ripreso a crescere».
Sarà , ma l’impressione è che a Roma vinca sempre il partito Alitalia. Un esempio? Singapore Airlines vuole volare da Milano a New York ma il Governo ha bloccato l’ok, «un via libera – dice Cortorillo – che spalancherebbe le porte di Malpensa ai grandi vettori del Golfo» (Emirates, Ethiad e Gulf Airways), per molti l’unica speranza per il suo rilancio. Di più: Berlusconi potrebbe prolungare la legge “ad Alitaliam” che protegge la compagnia dall’antitrust fino al prossimo dicembre, «una norma che ha regalato alla compagnia di bandiera e ad Air France il monopolio di Linate», dice Oliviero Baccelli, professore alla Bocconi e vicepresidente del Certet. Trasformando un Forlanini che pareva destinato al ridimensionamento nel peggior nemico della Malpensa. E la Lega che dice? «Io ho la coscienza pulita – si autoassolve Marco Reguzzoni, presidente dei deputati del Carroccio –. Il no a Singapore è un errore. Sul paracadute antitrust alla Magliana ero contrario. E ho presentato, la prego di ricordarlo, più di cento interrogazioni su questi casi».
Tutto a posto, insomma, ma niente in ordine. Bonomi sta trattando con il Tesoro per ottenere il via libera all’accordo di programma che garantirebbe un aumento delle tasse aeroportuali per finanziare gli investimenti. Bloccato (tanto per cambiare) da mesi sul tavolo di Giulio Tremonti. E il cerino scotta pure tra le dita della giunta Pisapia a Milano, alle prese con il bilancio colabrodo lasciato da Letizia Moratti. I 124 milioni di dividendo straordinario promesso dalla Sea in vista della quotazione – specie dopo il flop della vendita di una quota della Milano-Serravalle – sono indispensabili per riuscire a salvare i conti meneghini. Il collocamento in Borsa però con questi quarti di luna, rischia di saltare. E se Tabacci batterà cassa, come prevedibile, bisognerà procedere a eventuali piani B. Magari girando una quota di Malpensa e Linate ai privati (il fondo F2I di Vito Gamberale è in agguato), allettandoli con lo specchietto per allodole dell’interesse dei vettori del Golfo Persico. È tempo di pentimenti in fondo. Tremonti, storico nemico di Pechino, cerca di piazzare Bot ai cinesi. Anche la Lega, alla fine, può turarsi il naso. Dove il Carroccio ha fallito, pecunia non olet, sono benvenuti anche i petrodollari islamici.
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