«Spara a chi lancia sassi»

by Sergio Segio | 28 Settembre 2011 6:16

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 GERUSALEMME.«Spara a chi lancia sassi». È questo lo slogan della campagna avviata dal gruppo ultranazionalista «Sos-Israele» contro i palestinesi che scagliano pietre verso le automobili dei coloni israeliani residenti nella Cisgiordania occupata. Si tratta solo dell’ultima delle iniziative decise dalla destra estremista da quando l’Olp ha annunciato e poi presentato, la scorsa settimana, una richiesta ufficiale di adesione all’Onu di uno Stato palestinese con capitale il settore arabo (Est) di Gerusalemme. I coloni più radicali sono convinti di dover contrastare in tutti i modi, anche con la forza, eventuali manifestazioni a sostegno dell’indipendenza palestinese e ora accusano gli «arabi» di aver lanciato venerdì scorso, non lontano da Hebron, un masso che ha colpito una automobile uccidendo un settler e suo figlio (versione accreditata in parte dalla polizia ma smentita dall’indagine svolta dallo stesso esercito israeliano).

A guidare la campagna, che da venerdì scorso ha visto la distribuzione di migliaia di volantini e di opuscoli nelle sinagoghe e nei centri religiosi ebraici in Cisgiordania, c’è il noto rabbino Shalom Dov Wolpe, convinto che sparando ad altezza d’uomo contro i palestinesi (spesso dei ragazzi) si arriverà  a un netto miglioramento della «sicurezza stradale».
Sos-Israele afferma di aver scelto lo slogan «Spara a chi lancia sassi» prendendo a prestito una frase pronunciata nel 1989 dal premier Benyamin Netanyahu e riportata all’epoca dal quotidiano Maariv con un ampio titolo in prima pagina. A quel tempo era in corso la prima Intifada palestinese e Netanyahu, rientrato in Israele alla fine del suo mandato di ambasciatore all’Onu, fece una serie di dichiarazioni durissime. «Andiamo avanti sulla strada tracciata da Netanyahu», hanno spiegato gli attivisti di Sos-Israele, organizzazione nata nel 2003 che tra i suoi sostenitori conta nomi eccellenti come i rabbini David Druckman di Kiryat Motzkin e Menachem Porush di Aguda Yisrael, il premio Nobel Yisrael Aumann, il noto avvocato di estrema destra Elyakim Haetzni e il deputato ultranazionalista Aryeh Eldad.
Ma è la figura del rabbino Shalom Dov Wolpe che intriga di più. Discepolo dello scomparso Menachem Mendel Schneerson (il Lubavitcher Rebbe), negli ultimi mesi Wolpe ha abbinato dichiarazioni apparentemente “bizzarre” del tipo «L’uragano Irene è una punizione per gli Stati Uniti che appoggiano la creazione dello Stato del terrore palestinese» ad altre che incitano apertamente i coloni alla violenza contro lo stesso esercito israeliano. Durante lo sgombero dell’avamposto colonico di Havat Gilad, lo scorso marzo, Wolpe ha esortato a sparare proiettili di gomma contro i soldati e ha invocato la proclamazione di uno «Stato dei coloni» in Cisgiordania, indipendente da Israele. Ma nessuno gli ha mai chiesto spiegazioni.
In ogni caso i coloni godono di appoggi ben più importanti, nella stessa Knesset. Ieri i quattro partiti di destra – incluso il Likud di Netanyahu – chiedevano al premier sanzioni contro l’Anp e una graduale annessione di parte dei Territori occupati. Netanyahu ha risposto indirettamente autorizzando il ministero dell’interno a dare il via libera alla costruzione di 1.100 nuovi alloggi nell’insediamento ebraico di Gilo, nella zona occupata di Gerusalemme, a ridosso delle città  palestinesi di Betlemme e Beit Jala. Il progetto di Gilo si affianca a diverse iniziative analoghe, annunciate o rilanciate di recente, che in totale dovrebbero creare diverse migliaia di nuovi appartamenti per coloni. E per sollecitare una massicca campagna di costruzioni nei Territori occupati, l’estremista di destra Baruch Marzel e decine di attivisti Chalamish (ortodossi ultranazionalisti) hanno eretto tende al Rothschild Boulevard di Tel Aviv, teatro della recente protesta degli indignados israeliani contro il carovita.

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