«Se l’Italia non cresce, nuove bocciature»

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NEW YORK — «Giudizio politico, sfiducia nella capacità  delle democrazie di gestire col consenso crisi così gravi? No guardi, abbiamo dato giudizi anche più severi su regimi autocratici che nei momenti di transizione da un leader all’altro vivono situazioni di enorme instabilità . E oggi noi confrontiamo l’Italia con la democrazia spagnola che, alle prese con difficoltà  analoghe, ha saputo raggiungere in due settimane un consenso “bipartisan” sulle misure da adottare con le Cortes che hanno votato a grande maggioranza, anche un emendamento alla Costituzione».

Nella «conference call» a cavallo dell’Atlantico convocata da Standard & Poor’s per spiegare agli analisti e alla stampa i motivi del declassamento dell’Italia, Moritz Kraemer, capo del team che analizza i debiti pubblici dell’Europa, del Medio Oriente e dell’Africa, replica con tre argomenti ai dubbi del «Corriere», riferiti anche alla «bocciatura politica» del debito pubblico Usa decretata all’inizio di agosto, quando l’agenzia ha tolto a Washington la «tripla A»: 1) I criteri di S&P’s non sono cambiati. Dopo le critiche, le analisi sono state rese più trasparenti, ma la metodologia è rimasta la stessa. 2) Come nel caso dell’«impasse» politica al Congresso Usa, in Italia i problemi politici producono conseguenze che hanno sostanza economica: la manovra, dopo contrasti, rifacimenti e veti venuti anche dall’interno del governo e della maggioranza, ha perso le parti che potevano togliere qualche laccio che impedisce la crescita (come la liberalizzazione delle professioni) mentre è diventata preponderante (due terzi) la parte basata su nuove entrate. Non un gran modo di sostenere la crescita in un Paese già  ipertassato. 3) Bocciatura e «outlook» negativo che potrebbe portare a un altro «downgrading» nei prossimi 18 mesi sono comunque basati anche su un imponente volume di dati, di evidenze economiche oggettive: soprattutto il peggioramento della congiuntura internazionale, l’indebolimento delle prospettive di crescita del Pil italiano e la tendenza a un aumento dei tassi d’interesse che renderà  più oneroso finanziare il debito pubblico e anche il ricorso al credito da parte dei soggetti privati.

S&P’s sostiene di aver stretto i tempi della revisione del suo giudizio dopo l’allarme lanciato nel maggio scorso, perché da allora il deterioramento è stato molto più rapido del previsto: le previsioni di crescita del reddito italiano da qui al 2014 sono calate in appena 4 mesi dello 0,6%. Ora l’attesa è di un debito pubblico al 117% del Pil a fine anno, mentre tutte le azioni varate di recente dal governo lo faranno scendere solo marginalmente, al 115% nel 2014: lo stesso dato che nel rapporto di quattro mesi fa emergeva dal peggiore dei tre scenari considerati.

Insomma l’agenzia non giudica inadeguati i 60 miliardi di euro della manovra del governo, ma ritiene che quei risparmi non verranno pienamente conseguiti per l’indebolimento qualitativo degli interventi adottati. E invita Roma e i mercati a non drammatizzare: «Downgrading» dell’Italia ne abbiamo fatti diversi dal 1993 ad oggi. Vale anche per molti altri Paesi. La A assegnata a Roma riflette, comunque, la solidità  della sua struttura produttiva italiana e di quella patrimoniale delle famiglie. I Paesi con la A sono comunque Paesi in cui investire, anche se con qualche rischio in più. Nessun Paese A è andato in «default» negli ultimi decenni.

Intanto a Bruxelles, pur non criticando apertamente il verdetto dell’agenzia, il Commissario agli Affari monetari Olli Rehn ha voluto dare proprio ieri un giudizio molto positivo della manovra economica varata dal nostro governo mentre quello alla Concorrenza, Joaquim Almunia, ha definito la solidità  delle banche del nostro Paese «una fortuna enorme per l’economia italiana».

Nemmeno i mercati hanno drammatizzato più di tanto (come molti temevano) il «downgrading» italiano: dopo una partenza in calo in Asia, le Borse europee hanno vissuto una giornata positiva (Milano ha chiuso a +1,9%) anche per la sensazione che, nonostante le critiche che continuano a piovergli addosso, la Grecia (che ieri ha ripagato regolarmente una «tranche» del suo debito) otterrà  i sostegni promessi dai partner europei.

Gli allarmi, però, non arrivano solo dalle agenzie di «rating». Che la nota più dolente per l’Italia sia quella della mancata crescita l’ha sottolineato ieri anche il Fmi nei rapporti presentati dal suo capo economista Olivier Blanchard e da Carlo Cottarelli. Anche per il Fondo il rallentamento toccherà  tutte le economie del mondo. Ma mentre India e Cina continueranno a crescere, anche col «freno tirato», del 7-8%, per Europa e Usa il 2012 sarà  assai gramo. Vale per tutti ma soprattutto per l’Italia le cui stime sono state ridotte allo 0,6% per quest’anno e addirittura allo 0,3% (un punto meno della previsione precedente) per il 2012. Per questo anche il Fondo sostiene che la nostra emergenza è quella della crescita, dopo aver dato un giudizio della manovra del governo molto più positivo di quello di S&P’s. Per il Fondo, se torna sul sentiero dello sviluppo, il nostro Paese può sostenere anche per un periodo prolungato un elevato differenziale dei tassi (3-5% in più del costo del denaro). «Se, invece, la sfiducia prevarrà  nei mercati e il differenziale salirà  all’8-9%, la situazione diverrà  insostenibile», ha concluso Blanchard.


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