«Premier ricattato» Tarantini arrestato assieme alla moglie

by Sergio Segio | 2 Settembre 2011 9:22

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NAPOLI — All’alba di ieri a Roma, in un lussuoso appartamento dei Parioli, quando la polizia ha bussato alla porta dell’abitazione di Gianpaolo Tarantini e di sua moglie Angela Devenuto e li ha arrestati entrambi per estorsione, si è di fatto aperto un nuovo capitolo giudiziario di cui il protagonista è il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Che stavolta, però, non è accusato di nulla, non è indagato: è la vittima. L’estorsione contestata all’imprenditore barese che a Berlusconi forniva prostitute per le feste a Palazzo Grazioli, a sua moglie e a Valter Lavitola — editore-direttore del giornale l’Avanti, nonché commerciante ittico in Centro America, pure lui destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare con le stesse accuse ma prudentemente riparato da tempo all’estero — sarebbe stata messa in piedi dai tre nei confronti del premier, inducendolo a pagare una tangente di cinquecentomila euro e a sovvenzionare Tarantini e famiglia con versamenti mensili di ventimila euro (tra cui l’affitto) per le spese ordinarie, per evitare che il suo ex amico cambiasse strategia difensiva nel processo che lo vede imputato a Bari per sfruttamento della prostituzione, e ai giudici facesse racconti diversi da quelli in cui ha sempre sostenuto che le prestazioni delle ragazze che portava a casa di Berlusconi le pagava di tasca sua, senza che il premier ne sapesse nulla, anzi, tenendolo completamente all’oscuro dell’attività  di quelle occasionali ospiti di Palazzo Grazioli.
Uno scenario inedito nel panorama delle inchieste in cui compare il nome del capo del governo. A disegnarlo sono i pm di Napoli Vincenzo Piscitelli, Francesco Curcio e Henry John Woodcock, già  titolari il primo dell’inchiesta sull’ex consigliere del ministro Tremonti, Marco Milanese, e gli altri due di quella sulla cosiddetta P4 di Luigi Bisignani e del deputato pdl Alfonso Papa. È stato nell’ambito di queste indagini che è finito sotto controllo il telefono di Valter Lavitola, che usava un’utenza panamense e una la fornì anche a Berlusconi, ritenendole secondo i magistrati non intercettabili. E invece ascoltando le sue conversazioni con Tarantini e la Devenuto e con la segretaria di Berlusconi Marinella Brambilla — nonché in una circostanza con lo stesso Berlusconi — gli inquirenti si sono convinti dell’azione compiuta dai tre indagati ai danni del premier.
Lavitola emerge come la figura centrale di questa vicenda. Tarantini, dopo la storia di Patrizia D’Addario (la prostituta barese da lui ingaggiata e che registrò il suo incontro con Berlusconi), non ha più avuto frequentazioni e contatti diretti con il presidente del Consiglio, e allora si rivolgeva al comune amico affinché gli portasse i suoi saluti e i suoi messaggi. E con Lavitola si sentiva abitualmente al telefono la segretaria di Berlusconi. Facevano discorsi apparentemente poco comprensibili, parlavano di foto che la Brambilla diceva di poter stampare o meno e, in caso affermativo, Lavitola mandava qualcuno a ritirare. «Nel linguaggio criptico e convenzionale adottato dai due, l’oggetto reale di tali conversazioni è da ritenersi senz’altro costituito da consistenti somme di danaro contante», scrive il gip Amalia Primavera nell’ordinanza di custodia cautelare. E a conferma di questa tesi il giudice delle indagini preliminari sottolinea come lo stesso Lavitola in successivi colloqui telefonici con persone da lui incaricate di recapitare ai Tarantini quanto ritirato dalla segretaria di Berlusconi (sono indagati anche il cugino Antonio Lavitola e il collaboratore Fabio Sansivieri), parli non più solo di fotografie ma anche esplicitamente di denaro. In una fa riferimento a centomila euro da far arrivare alla Devenuto, e secondo gli inquirenti si tratterebbe di un quinto dei cinquecentomila euro, il resto Lavitola avrebbe trattenuto per sé.
Infatti di questo pagamento, concordato tra Berlusconi e Tarantini durante un incontro avvenuto nel marzo scorso, dopo due anni in cui i due non si vedevano (in agosto poi ce ne sarebbe stato un altro), l’imprenditore barese sarebbe venuto a conoscenza non da Lavitola ma dal suo difensore Giorgio Perroni, che lo avrebbe saputo dall’avvocato del premier Nicolò Ghedini. È lo stesso Tarantini a sostenerlo nella memoria difensiva che aveva preparato dopo che il settimanale Panorama aveva anticipato l’inchiesta di Napoli. Una memoria in cui si difende dall’accusa di estorsione e sostiene che il premier lo ha aiutato soltanto perché sapeva delle sue difficoltà  economiche sopraggiunte dopo i guai giudiziari.

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