by Sergio Segio | 2 Settembre 2011 10:16
Naturalmente non si tratta della famiglia di un cassintegrato o di un insegnante disoccupato che tanti soldi tutti insieme non li vedranno mai. Stiamo parlando dei coniugi Tarantini, il faccendiere che riforniva di escort palazzo Grazioli e di cocaina la Costa Smeralda. Lui e la moglie, questa l’accusa dei magistrati, ricattavano Berlusconi, finora per una somma intorno ai 500 mila euro.
Il provvedimento giudiziario offre l’osceno contesto in cui atterra il testo della manovra economica del governo, un puzzle sconnesso costruito nella farsesca girandola di provvedimenti presentati e ritirati. Non c’è dubbio, siamo «un paese di m…», come dice in una delle intercettazioni telefoniche il presidente del consiglio, a proposito delle note vicende personali. Un paese, ne converrà anche lui, costruito a sua immagine, con gli ingredienti di un potere corrotto e malato. Lo stesso che non esita a tagliare e tassare senza pietà chi, vivendo di lavoro, è ridotto allo stremo mentre, nello stesso momento, organizza il rifornimento, con fiumi di denaro e prebende politiche, di una corte impresentabile e proterva. Sono due facce coerenti della stessa medaglia.
E quelle «manette agli evasori» che adesso vengono sventolate dal ministro Tremonti davanti all’opinione pubblica come «la grande svolta», hanno in realtà l’odore inconfondibile del regime berlusconiano: autoritario e lassista. Manette virtuali e futuri condoni reali nel tentativo (ormai vano) di nascondere il furto ai comuni, a chi vive di stipendio e di pensione. E’ la sostanza indigesta di una politica che tiene insieme (per ora) le fameliche famiglie politiche del centrodestra.
I cittadini pagheranno di più beni e servizi, la scuola e i trasporti e nulla che faccia intravedere nemmeno l’ombra di investimenti e misure per alleviare lo stato comatoso della nostra economia. Le «buffonate» di cui parla il Financial Times, a proposito della manovra italiana (nei contenuti e nelle cifre), sono il frutto avvelenato di una gestione solo elettorale delle misure in discussione al parlamento.
In queste condizioni, di fronte allo spettacolo che ci viene offerto dal Palazzo, lo sciopero generale della Cgil offre alla rabbia sociale uno sbocco ancora organizzato. La scelta di anticiparne la data al 6 di settembre consente di tenere in vita un filo di collegamento tra le diverse anime di una protesta che non vede uno sbocco politico. Dalle ultime elezioni regionali e dai 27 milioni dei referendum sono passati solo pochi mesi ma, a osservare la scena istituzionale, sembra un’altra era. Così si allarga la distanza da una società civile sempre meno disposta ad accettare di essere rappresentata da politici (a destra e a sinistra) che vivono di tangenti o di escort o di nulla.
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