by Sergio Segio | 23 Settembre 2011 6:35
ROMA — «È un’indecenza, vi autorizzo io a dirlo ai giornalisti, ho controllato io stesso gli aerei, c’erano altri voli di linea e poteva anche prendere un volo di Stato, un volo che è autorizzato a fare un’altra rotta, gliel’ho detto io stesso, avrebbe anche risparmiato del tempo. Lui mi ha risposto che non poteva».
Mentre Silvio Berlusconi parla, si sfoga, con i suoi deputati, Giulio Tremonti è già in volo per Washington, deve partecipare alle riunioni del Fondo monetario internazionale. Ma non è solo una distanza geografica quella che separa il premier dal suo ministro, la distanza è umana e politica ed è ad un livello mai raggiunto prima.
Marco Milanese alla Camera è stato appena salvato dalla maggioranza, ma a Montecitorio, e soprattutto intorno al Cavaliere, non si parla d’altro: l’assenza di Tremonti. Non è andato al Consiglio dei ministri e nemmeno ha votato sulla richiesta di arresto del suo ex braccio destro. Berlusconi autorizza il Pdl a emettere una velina durissima: «Un atto immorale».
Di solito Berlusconi parla ma poi smentisce; attacca Tremonti in privato, ma poi getta acqua sul fuoco. Questa volta la dinamica appare diversa: non c’è nulla di ufficiale, ma la cornice sembra quella di un’operazione cercata e voluta. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è un tomo fresco di tipografia che il Tesoro ha fatto recapitare a tutti i ministri, sul tavolo ovale nella sala del consiglio, di prima mattina. Sono i numeri del Def, il documento che aggiorna le cifre e le previsioni della nostra economia, ma il governo era all’oscuro di tutto ed è chiamato ad approvarlo senza alcuna illustrazione. Per Berlusconi il vaso è colmo.
Prendono la parola prima Brunetta, poi Galan, poi Romani. In pochi istanti la riunione si trasforma in una sorta di processo collettivo ai danni del ministro dell’Economia. Per chi assiste alla scena «è quasi una sommossa». Persino Calderoli non difende Tremonti, ed è tutto dire. Ma la novità non sono i ministri contro quello che per anni è stato tollerato come il Superministro, la novità sono le parole durissime ed esplicite del capo del governo.
«Esiste un problema serio, Tremonti va in giro in Europa a dire che la credibilità dell’Italia è peggiorata per colpa mia, per le modifiche che ho inserito alla manovra. È una cosa inaccettabile. Un ministro che non segue le indicazioni del suo partito, che non dà le dimissioni dopo tutto quello che è successo, crea una situazione imbarazzante. Io la manovra l’ho solo migliorata e se mi avesse dato ascolto sin dall’inizio sarebbe stato tutto diverso».
Gianni Letta prova forse per un attimo a riportare la calma, ma ormai l’argine è rotto. La «piena» di una maggioranza che nelle ultime ore avrebbe arruolato anche umori leghisti contro il Tesoro è ormai inarrestabile: si trasferisce prima a Montecitorio per il voto su Milanese, poi a palazzo Grazioli per il vertice di maggioranza. I comunicati del vertice, le parole del premier, tutto converge verso quello che appare come un unico obiettivo: depotenziare al massimo grado, per l’imminente futuro, il ruolo di Giulio Tremonti.
C’è anche chi sostiene, nel governo, che si tratta di un azzardo, che a Tremonti potrebbero saltare i nervi, ma forse è proprio questo il desiderio del Cavaliere: «Sapete che non ho il potere di fare dimettere nessuno, purtroppo», dice ancora ai suoi ministri e mentre aggiunge questa frase lascia capire che fosse per lui le dimissioni le avrebbe chieste chissà da quanto tempo, perché condivide le critiche degli altri colleghi: il metodo inaccettabile, il lavoro di questi giorni sul decreto per lo sviluppo, che a tanti sembra gestito dal Tesoro senza la dovuta convinzione.
Per più di un ministro la distanza con il premier si è allargata sino a livelli incolmabili sulla nomina del prossimo governatore di Bankitalia: «Tremonti è sull’Aventino perché Berlusconi ha scelto Saccomanni e non Grilli». Ma è una spiegazione riduttiva. Nel pomeriggio a palazzo Grazioli il premier parla di vendita del patrimonio dello Stato, dice che questo governo deve portare «il Paese al riparo dalla crisi con provvedimenti eccezionali».
Dietro ogni parola, ogni progetto, per quanto al momento vago, sembra esserci un imputato, ovvero Tremonti. Che non appare godere più della fiducia del suo presidente. E per di più Berlusconi ha appena rinsaldato il rapporto con Bossi; ha convinto la Lega a votare contro l’arresto di «un napoletano», come i leghisti chiamavano ieri, senza troppa eleganza, l’ex braccio destro di Tremonti; e invece «lui non viene nemmeno a votare, roba da pazzi», continua il presidente del Consiglio, prima di chiudere la riunione del governo.
A fine giornata la cifra politica di tanta durezza nei confronti del ministro dell’Economia viene riassunta così nello staff del premier: «Non siamo in grado di dire, lo sa soltanto il presidente, se in questo momento possiamo fare a meno di Tremonti, ma di sicuro si sta rafforzando nel presidente una consapevolezza: con Tremonti, con questo grado di collaborazione, il governo non riuscirà a dare quel colpo d’ala che i mercati ci chiedono, ormai il ministro viene avvertito come il primo problema di questa coalizione».
Sulle agenzie di stampa filtrano altre considerazioni attribuite al premier: la voglia di riportare la regia della politica economica a Palazzo Chigi, la voglia di comunicare a tutti che Tremonti «non comanda più».
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