Lo scempio di due croniste in Messico

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WASHINGTON — Le hanno strangolate e poi hanno abbandonato i cadaveri nudi in un parco di Città  del Messico. Ana Marcela Yarce e Rocà­o Gonzà¡lez Trà¡paga, giornaliste e amiche, sono state assassinate in modo brutale la notte del 31 agosto. Per la polizia il delitto potrebbe essere la conclusione violenta di una rapina: Rocà­o, che gestiva anche un ufficio di cambio, poco prima di essere aggredita aveva ritirato un’ingente somma di denaro. I colleghi, tuttavia, sono prudenti sulla tesi ufficiale e sospettano che ci possa essere la mano del crimine organizzato.
Ana Yarce, 45 anni, aveva fondato il settimanale Contralinea ma di recente aveva smesso di occuparsi di inchieste. «Troppi problemi, troppe minacce», avrebbe confidato ad un amico. Rocà­o Trà¡paga, dopo aver lavorato per la nota rete Televisa, faceva la freelance e gestiva — come seconda attività  â€” un ufficio di cambio all’aeroporto internazionale. Testimoni sostengono di averle viste insieme attorno alle 21 di mercoledì. Prima in centro, quindi nell’ufficio della Trà¡paga, dove avrebbero ritirato del denaro. Poi più nulla. Giovedì pomeriggio, due jogger che correvano nel parco di Iztapalapa hanno trovato i corpi.
Fare i giornalisti in Messico è un mestiere pericoloso. E’ come essere al fronte. O forse peggio. Perché almeno in guerra sai dove è il nemico. Nelle città  messicane la morte può arrivare in tanti modi. Una fonte che ti tradisce, un narcos che non gradisce quello che scrivi, un poliziotto corrotto. Nel 2010, sono stati assassinati nove reporter ed altri quattro sono scomparsi. Una piccola parte di quei 74 reporter fatti fuori a partire dal 2000. In alcune zone del Paese — in particolare nel nord — i giornalisti sono soggetti a continue minacce. I narcos vogliono imporre le loro notizie, le loro versioni, i loro racconti. La stampa può finire in mezzo alla battaglia tra le gang o essere usata come mezzo di contro-informazione. Un giornale è arrivato a pubblicare un fondo chiedendo una tregua ai banditi. Un segno di disperazione davanti all’inazione delle autorità  e alla pressione dei cartelli. Ma in alcune situazioni i reporter devono stare attenti a non muovere troppe critiche alle forze di polizia. Rivelare abusi o eccessi nella repressione può avere conseguenze fatali. Qualche giornalista, rimasto senza alcuna protezione, ha cercato rifugio dall’altra parte del confine, negli Usa, dove ha chiesto asilo politico. La risposta non è stata incoraggiante. Solo due lo hanno ottenuto.
L’assassinio di Ana e Rocà­o segue un periodo di grande violenza. È di pochi giorni fa la strage di Monterrey, dove 52 persone sono morte soffocate nel rogo di un casinò. Attacco attribuito ai Los Zetas — uno dei cartelli più feroci — ma che può nascondere altro. La polizia ha arrestato il fratello del sindaco, sospettato di estorsione ai danni del locale e di un agente. Ad Acapulco oltre 140 scuole sono rimaste chiuse perché gli insegnanti — oggetto di minacce e aggressioni — si sono rifiutati di presentarsi al lavoro. La città , che una volta era simbolo di vacanze e meta del jet set, è una delle «piazze» più insanguinate da esecuzioni e persone fatte a pezzi. In ballo c’è il controllo della zona. Uno scontro che coinvolge diverse categorie, a cominciare dai tassisti, accusati di fare gli informatori o di essere al servizio di qualche cartello. Il presidente Felipe Calderà³n promette una risposta dura. Moniti che lasciano indifferente la popolazione. Quasi la metà  dei messicani ritiene che lo stato sta perdendo la guerra ai trafficanti.


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