by Sergio Segio | 28 Settembre 2011 6:41
ROMA — Una secessione di fatto. Sul Sud sta per abbattersi uno «tsunami demografico: da un’area giovane e ricca di menti e di braccia il Mezzogiorno si trasformerà nel corso del prossimo quarantennio in un’area spopolata, anziana ed economicamente sempre più dipendente dal resto del Paese». L’analisi contenuta nel Rapporto Svimez presentato ieri è spietata e spinge il presidente dell’istituto, Adriano Giannola, a lanciare un appello «non assistenzialistico» al governo perché promuova una «strategia di crescita» per il Sud.
Da alcuni anni le donne meridionali hanno in media meno figli di quelle del resto del Paese. Se a questo si aggiunge che nel Centro-Nord c’è un più forte afflusso di stranieri, in particolare giovani, il Sud si avvia al «degiovanimento». «Nei prossimi venti anni il Mezzogiorno perderà quasi un giovane su quattro, nel Centro-Nord oltre un giovane su cinque sarà straniero». Nel 2050 gli under 30 saranno meno di cinque milioni nel Sud contro 11 milioni nel resto d’Italia. Il meridione «è destinato a diventare una delle aree con il peggior rapporto tra anziani inattivi e popolazione occupata e con la più alta percentuale di ultraottantenni sulla popolazione, quasi uno su sei nel 2050».
Le distanze col Nord aumentano. Negli ultimi dieci anni il Prodotto interno lordo nel Sud ha segnato una media annua negativa dello 0,3%, contro il +3,5% del Centro-Nord. Nel 2011 crescerà dello 0,1% mentre nel resto del Paese dello 0,8%. Il Pil procapite del Sud è il 58,5% di quello del Centro-Nord: 17.466 euro contro 29.869. La regione più povera — e questa è una novità — è diventata la Campania con 16.372 euro, superando la Calabria.
Le manovre finanziarie 2010-2011 peseranno di più nell’area più povera del Paese, dice il rapporto. Intanto, la crisi internazionale ha colpito duramente i consumi delle famiglie del Sud, perfino quelli alimentari, scesi del 4,9% nel 2009 (-2,1% nel Centro-Nord) e dello 0,4% nel 2010 (+ 0,3% nel Centro-Nord). Nel triennio 2008-2010 gli occupati sono diminuiti di 533 mila: il 60% di questi nel Mezzogiorno, benché quest’area rappresenti solo il 30% dell’occupazione nazionale. «Gli occupati al Sud — spiega il rapporto — sono tornati ai livelli di dieci anni fa. In Campania lavora meno del 40% della popolazione in età da lavoro, in Calabria il 42,4%, in Sicilia il 42,6%». Dilaga l’economia sommersa. Nel 2010 il tasso di disoccupazione è stato del 13,4% al Sud e del 6,4% al Centro-Nord. Considerando anche i «disoccupati impliciti, coloro cioè che non hanno effettuato azioni di ricerca del lavoro negli ultimi sei mesi», il «tasso disoccupazione effettivo» al Sud raddoppierebbe, superando il 25%. Solo il 20,4 dei giovani meridionali tra 15 e 34 anni ha un lavoro regolare a tempo indeterminato contro il 38,5% nel Centro-Nord. Considerando anche i precari si arriva al 31,7%: nel meridione quindi lavora meno di un giovane su tre. Le donne sono addirittura ferme al 23,3% contro il 56,5% nel resto del Paese.
A impoverire il Mezzogiorno contribuisce anche l’emigrazione, soprattutto intellettuale. Dal 2000 al 2009 sono andati via in 583 mila. Le città più colpite sono Napoli (-108 mila), Palermo (-29 mila), Torre del Greco (-19 mila), Bari e Caserta (-15 mila). Ad attrarre manodopera sono state soprattutto Roma (66 mila), Milano (50 mila) e Bologna (31 mila). Grave anche il livello di istruzione. Si riduce il numero di iscritti all’Università : dal 2003 a oggi il tasso di passaggio dalle scuole superiori alle facoltà universitarie è sceso dal 72,2% al 60,9% nel Sud (dal 73,4% al 64,6% nel Centro-Nord). «Dal brain drain, cioè dalla fuga dei cervelli, siamo ormai passati al brain waste, lo spreco di cervelli, una sottoutilizzazione di dimensioni abnormi del capitale umano formato che non trova neppure più una valvola di sfogo nelle migrazione», commenta la Svimez. Le infrastrutture sono arretrate, ma i fondi europei e i cofinanziamenti nazionali non si riescono a spendere, col rischio di perdere 7 miliardi di euro di finanziamenti entro il 2011. A dieci anni dalla Legge Obiettivo che prevedeva la realizzazione di grandi opere per complessivi 358 miliardi di euro, quelle ultimate valgono 30,5 miliardi, dei quali solo 4,2 nel Mezzogiorno.
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