«Lavoro più flessibile, legge da rivedere»

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ROMA — Nella corsa forsennata ad approvare la manovra, capita che alla Camera passi un ordine del giorno che contraddice il testo poco prima votato con la fiducia. I deputati hanno detto sì a un condono fiscale ed edilizio (Scilipoti), all’Ici sugli immobili della Chiesa (Fli), alle mamme prima in pensione (Lega), ma quello che colpisce di più è che sia passato, con parere favorevole del governo, anche uno spiraglio — aperto dal Pd — per la revisione dell’articolo 8 del decreto, sulla flessibilità  del lavoro. «Valutare attentamente gli effetti applicativi dell’articolo 8, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a rivedere quanto prima le disposizioni, coinvolgendo le parti sociali, per redigere una norma interamente conforme agli indirizzi dell’accordo del 28 giugno 2011». È la proposta dell’ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano (Pd), che ha trovato d’accordo l’Assemblea, con 418 voti a favore, quindi più della sola opposizione.
Nessun obbligo di modifica immediata, se non la richiesta di tornarci su. Ma l’ok del governo può essere letto come una parziale marcia indietro, almeno sulla deroga all’articolo 18 dello Statuto, quello sul reintegro del lavoratore licenziato senza giusta causa. Il leader Fiom, Maurizio Landini, aveva tirato in ballo il Quirinale, chiedendo un «segnale politico». Ma anche la Cisl aveva fatto sapere di non essere disposta a concessioni. Cisl che ora manifesta soddisfazione: «È confortante l’unità  di intenti di una larghissima parte del Parlamento» a rafforzare l’accordo «d’intesa con le parti sociali», ha commentato il segretario Raffaele Bonanni. E anche il leader della Uil, Luigi Angeletti, parla di «decisione opportuna e condivisa»: «Su quella materia, infatti — dice — le parti sociali non erano state messe nella condizione di poter intervenire».
Ma per la Cgil la disponibilità  del Parlamento non basta. «C’è un’unica soluzione: cancellare quell’articolo», ribadisce la segreteria, che giorni fa aveva prospettato di impugnare il decreto davanti alla Corte Costituzionale. Per il sindacato oltre ai licenziamenti è anche un altro il fronte aperto: l’articolo 8 stabilisce che gli accordi aziendali siano «efficaci nei confronti di tutto il personale», anche se firmati prima dell’accordo interconfederale, consentendo con un effetto retroattivo di dare efficacia anche alle intese separate di Pomigliano e Mirafiori, passate con il «no» della Fiom. Poi, l’accordo del 28 giugno, aveva segnato un nuovo corso nei rapporti tra Cgil, Cisl e Uil, e tra sindacati e Confindustria. E punto qualificante delle richieste delle parti sociali nella lettera inviata a fine luglio al governo era proprio di non legiferare in materia di lavoro, lasciando valere quell’intesa, che rafforzava la contrattazione aziendale, ma nessuna deroga alla legge stabiliva. «L’odg — spiega a questo proposito Damiano — parla di un intervento improprio su temi di pertinenza delle parti sociali, mirato esclusivamente a dividere il fronte sindacale e a mettere in discussione l’accordo unitario».
Sui tempi dell’esame richiesto dal Parlamento è chiaro il ministro Maurizio Sacconi: sarà  modificato «quando le parti sociali saranno tutte d’accordo». Come dire: quando Fiat e Cgil cammineranno a braccetto.


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