L’interrogatorio dei colleghi E lui: vendette e coincidenze

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ROMA — «Ora lo dico cosa c’era in quelle cassette di sicurezza. Visto che il contenuto era segreto non si capisce come si sia potuto dire con certezza che le ho svuotate. Ma ora chiarisco tutto in giunta». Arriva determinato Marco Milanese a non sprecare le sue ultime carte. L’autodifesa di fronte alla giunta che oggi si esprimerà  per un «sì» o per un «no» alle manette chieste per lui dai magistrati di Napoli. Ma anche i contatti nei corridoi per convincere i colleghi, soprattutto leghisti, e anche centristi, che «non è in gioco solo il suo destino». Evocando il timore più diffuso, nella maggioranza e oltre, che il suo tonfo destabilizzi anche Tremonti e, con lui, l’intero governo in un momento in cui lo stesso premier Silvio Berlusconi è in contrasto con i magistrati napoletani che lo vogliono audire e il suo stesso caso potrebbe finire, in caso di scontro, di fronte alla giunta.
Teso, ma lucido, appunti alla mano, per un’ora, l’ex braccio destro di Tremonti, torna, dunque, all’attacco. Contro il «massacro mediatico» a base di «notizie false, parziali, e comunque costruite ad arte» per celebrare il processo «sulla pubblica piazza dove sono già  stato condannato». Contro la «guerra interna alle Fiamme Gialle» cui attribuisce le accuse dell’ex numero uno della GdF, Cosimo D’Arrigo, che ha parlato di lui come «referente esclusivo» nominato da Tremonti «che ci ha sempre creato difficoltà », cui replica: «Se D’Arrigo aveva tutti quei problemi perché non ne ha parlato con il ministro?». Contro il suo «unico» accusatore Paolo Viscione che, dice, «ha agito per sete di vendetta perché non avevo voluto appoggiare la candidatura di suo figlio a sindaco di Cervinara» e, «dopo pochi giorni di carcere è ritornato in possesso del suo intero patrimonio “sequestrato”, restituito senza neanche un’istanza del difensore, di iniziativa dell’autorità  giudiziaria». E naturalmente contro la «persecuzione» dei magistrati, testimoniata dice, scorrendo lo schema con i punti salienti. Dalla «mancanza di indizi»: «si è valutato attendibile Viscione che invece sin dall’ottobre 2010 si sapeva che mentiva». Alla «carenza nelle indagini»: «si è persino scambiato un prefisso di Padova per la scheda di un Paese esotico». Dalla «concomitanza di questa indagine con l’inchiesta P4 per la quale sono stato sentito come testimone». Alla «assenza di esigenze cautelari»: «mi sono dimesso da consigliere di Tremonti. E la mia compagna non fa più parte dello staff dello stesso ministro dal mese di luglio».
Ma poi arriva la raffica di domande. A partire da quelle sulle cassette di sicurezza visitate proprio nel giorno dell’arresto di Viscione che lo accusa di aver preso mazzette in contanti. Perché? «Una coincidenza», risponde l’ex ufficiale della Guardia di Finanza, scatenando le ironie dell’opposizione. Che arrivano al culmine quando, per giustificare i cinquantuno mila euro di lavori di ristrutturazione non pagati, secondo i pm una tangente travestita, Milanese spiega che «era la ditta di Proietti che non li voleva. Aspettavano di arrivare all’importo complessivo dei lavori di 197 mila euro». Eccolo uno degli argomenti più scivolosi per Tremonti, la casa di via dei Prefetti, presa in affitto da Milanese a 8 mila euro al mese dal Pio Albergo Trivulzio e subaffittata al ministro dell’Economia: «Quell’appartamento l’avevo affittato molto tempo fa e siccome spesso non lo utilizzavo, ne avevo dato la disponibilità  al ministro che mi pagava 1000 euro la settimana in contanti», ribadisce Milanese. «Ma con Tremonti ci diamo ancora del lei», precisa, tentando di fugare ogni sospetto di contiguità . E aggiunge che lo aveva preso in affitto con la speranza che l’ente avrebbe venduto presto l’immobile a prezzi vantaggiosi, ma ora, venuti a mancare i 4 mila euro mensili (in nero) di Tremonti, il prezzo risulta per lui «troppo esoso» e potrebbe costringerlo presto, in assenza di uno «sconto», a traslocare.
Ci prova Milanese a marcare la differenza dal deputato pdl Alfonso Papa, da luglio scorso a Poggioreale. Il pressing sui colleghi della Lega lo fa appena finita l’audizione. Ma non dice affatto di essere «pronto al carcere», come faceva Papa. Non gli ha portato bene. E Milanese non sfida la sorte: «Sono disposto ad accettare il processo anche subito, ma non l’arresto perché non ci sono i presupposti».


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