«Intercettazioni da regime comunista»

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ROMA — Ha alternato battute ad angoscia, autoesaltazione a vittimismo. Si è definito «un fuoriclasse, come Ibrahimovic», uno che fa vincere le partite perché «sono stato io a salvare l’Italia dal default», rischio corso per colpa di Prodi e impossibile da affrontare per i vari «Bersani, Vendola, Di Pietro», sostanzialmente dei «brocchi». Ma Silvio Berlusconi, nelle sue esternazioni-sfogo mercoledì sera in casa di Alessandra Mussolini, dove ha festeggiato a mezzanotte il suo compleanno, si è lasciato andare anche al grido di dolore che ha caratterizzato le sue ultime settimane: «La verità  è che vogliono farmi fare la fine di Craxi: hanno ucciso lui, e adesso l’obiettivo sono io». E ancora, ripeteva ieri ai suoi interlocutori: «La magistratura di Napoli si è comportata con leggerezza e disprezzo delle regole, come se si trattasse di un gioco e non della vita delle persone».

Concetti tante volte ripetuti negli ultimi mesi, che oggi però scandiscono i tempi di un quadro politico sempre più deteriorato. Quello che anche i fedelissimi del Cavaliere definiscono «a massimo rischio», perché «le spaccature nel governo, tra le persone, tra certi mondi e l’esecutivo sono davvero profonde. Forse troppo per evitare il voto nel 2012».

Raccontano che, nella sua notte di celebrazioni e brindisi, Berlusconi si sia detto invece fiducioso di poter andare avanti fino al 2013, di riprendersi i suoi elettori perduti nel non voto. E perfino certo — circostanza questa smentita da Palazzo Chigi — che Lavitola presto farà  rivelazioni molto forti su Fini.

Ma se il leitmotiv, anche nel giorno del suo 75esimo compleanno, è quello della persecuzione ai suoi danni, perché «100 mila intercettazioni non le avrebbero fatte nemmeno nei regimi comunisti», si capisce come ieri — durante il vertice di maggioranza a pranzo a palazzo Grazioli — si sia deciso di andare avanti a spron battuto per approvare al più presto la legge sulle intercettazioni. «È una riforma che faremo certamente — promette Berlusconi — Non è quella che vorrei ma è meglio del niente di adesso».

L’idea è quella di cominciare a votarla già  la prossima settimana. Ma, questa la novità , il testo che si vorrebbe approvare resterebbe quello su cui si era raggiunto un compromesso oltre un anno fa con i finiani. Un testo relativamente «morbido», che potrebbe essere approvato senza troppe proteste dell’opposizione e della piazza, tanto che allora venne accantonato perché Berlusconi lo riteneva inutile. Oggi invece viene rispolverato perché è pur sempre uno strumento per frenare l’eventuale pubblicazione di altre intercettazioni.

E dunque, in una giornata in cui si è registrato lo stallo se non l’impantanamento su temi cruciali come la nomina del governatore di Bankitalia (sulla quale domina l’incertezza, con l’unico punto fermo che sta nella richiesta dei big del partito al premier di «non cedere ai diktat di Bossi e Tremonti») e il varo del decreto sviluppo (che non sarà  esaminato dal Consiglio dei ministri prima di metà  ottobre), l’attivismo della maggioranza si segnala solo sul fronte giustizia. Quello che toglie il sonno al premier più di quanto non lo faccia lo stesso Tremonti, verso il quale torna a montare lo scontento del Pdl.

Le decisioni sui risparmi dei ministeri prese l’altro ieri dal superministro e fatte firmare al premier, per un taglio da 6 miliardi di euro, stanno agitando le acque sempre più, tanto che questa settimana non è stato nemmeno convocato il Consiglio dei ministri. E a far capire l’aria che tira ci pensa un preoccupatissimo Ignazio La Russa, che di fronte all’ipotesi di un taglio di 1,4 miliardi alla Difesa promette che lavorerà  per reperirli, ma se non sarà  possibile salvaguardare gli standard di sicurezza per le Forze armate «non varrebbe la pena rimanere alla guida di questo dicastero».


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