«Il Cavaliere pagò Tarantini per evitare danni»
Così il Tribunale del Riesame di Napoli ricostruisce il rapporto tra i due e delinea il futuro dell’inchiesta per estorsione che era stata avviata dai pubblici ministeri partenopei contro lo stesso Tarantini, sua moglie Nicla e il faccendiere Valter Lavitola. L’unico a rimanere indagato è proprio quest’ultimo diventato «intermediario tra i due», visto che del premier «è interlocutore privilegiato». Un uomo, così lo descrivono le tre giudici, che «si è sottratto all’esecuzione dell’ordinanza custodiale con un comportamento assolutamente in linea con la sua personalità spregiudicata» e per il quale viene evidenziato «l’elevatissimo rischio di recidiva, sia per la gravità dei fatti contestati, sia per aver dimostrato la propria capacità di continuare a delinquere pur trovandosi “all’altro capo del mondo”, come egli stesso afferma in una conversazione, potendo contare su una fitta rete di contatti e sulla collaborazione di una serie di soggetti alle sue dipendenze».
L’ossessione di «Gianpi»
Non negano le componenti del collegio la «pressione» esercitata sul capo del governo dai tre, ma riqualificano il reato e dunque ribaltano i ruoli evidenziando come «la condotta processuale fin dall’origine assunta dal Tarantini, volta a tenere il più possibile “indenne” il presidente del Consiglio dai verosimili danni alla sua immagine pubblica derivanti dalla divulgazione dei risvolti più “sconvenienti” del processo pendente a Bari, è stata indotta dalla promessa da parte del Premier di “farsi carico”, dal punto di vista economico (in senso lato), della “situazione” del Tarantini». E dunque quest’ultimo «non è punibile» visto che si trova in una situazione «di debolezza anche psicologica e manifesta un ossessivo bisogno di ricevere direttamente da Berlusconi rassicurazioni in ordine all’impegno che questi aveva assunto».
Il Riesame evidenzia come Berlusconi avesse un «palese e incontrovertibile interesse per la vicenda processuale di Tarantini». E dunque «deve ritenersi acclarato che fin dall’inizio della vicenda giudiziaria si è interessato in prima persona di garantire all’odierno ricorrente un’adeguata difesa preoccupandosi di individuare — grazie alle indicazioni del proprio difensore Niccolò Ghedini — professionisti di chiara fama e di sua fiducia». Non solo: «L’interesse di Berlusconi per le condizioni di vita di Tarantini risulta essersi manifestato in maniera ancora più evidente quando questi — mentre era ai domiciliari — ottenne l’autorizzazione a svolgere attività lavorativa preso la società “Andromeda”». In definitiva «si può affermare che sin dallo “scoppio” della vicenda Tarantini a Bari, Berlusconi ha sostenuto economicamente Tarantini e la sua famiglia assicurando loro un elevato tenore di vita, una valida difesa legale e una serie di ulteriori utilità — non ultima la possibilità di ottenere un lavoro per procurargli il quale il premier si è adoperato personalmente — corrisposte sempre attraverso il tramite di Lavitola». E lo ha fatto proprio per evitare di «porre in pericolo la sua immagine pubblica».
Gli accordi «cifrati»
I giudici ritengono «smentita» la versione di Berlusconi che ha detto di aver aiutato una famiglia bisognosa «perché — sottolineano — l’aiuto a un amico in difficoltà non si concretizza con modalità non trasparenti quali quelle utilizzate in ogni occasione da Berlusconi». E poi le elencano: «Berlusconi si avvaleva esclusivamente della collaborazione di una terza persona, Lavitola, quale intermediario nella gestione del rapporto. Le modalità e i tempi di consegna del denaro venivano quasi sempre concordati telefonicamente in maniera “cifrata” proprio al fine di impedire che si potesse ricostruire, attraverso l’eventuale ascolto delle conversazioni, l’avvenuto “accordo” sulla dazione di denaro. Indicativa è anche la descrizione offerta da Tarantini del suo arrivo ad Arcore nel mese di marzo 2011, quando racconta di aver staccato le batterie del telefono ed essere entrato a casa di Berlusconi: appare infatti del tutto evidente che lo staccare del cellulare costituisca una modalità necessaria al solo fine di evitare che potesse ricostituirsi, attraverso l’analisi delle celle agganciate dal portatile di Tarantini che egli, in quel determinato giorno, si era recato ad Arcore a casa del presidente del Consiglio. Del resto, non può in alcun modo ritenersi credibile che se Berlusconi avesse inteso semplicemente “sostenere” economicamente la famiglia Tarantini, avrebbe poi mostrato evidente sofferenza proprio alle persone che “manifestavano” le esigenze degli stessi, come la segretaria Marinella Brambilla e il maggiordomo Alfredo Pezzotti».
Il Tribunale riconosce l’importanza delle ammissioni della Brambilla, ma anche «l’evidente discrasia tra le sue affermazioni e le conversazioni intercettate con riferimento all’ammontare delle somme alle quali si faceva riferimento con espressione convenzionale come “foto da stampare”». Spiegano i giudici: «In proposito non si può fare a meno di notare che le date di consegna del denaro indicate dalla Brambilla risultano perfettamente coincidenti con quelle di captazione delle conversazioni telefoniche che documentano la successiva consegna di parte degli importi prelevati da Raphael Chavez (incaricato al ritiro da Lavitola) ai coniugi Tarantini, sebbene dal tenore dei colloqui possa ragionevolmente evincersi che l’indicazione “10 foto” non equivalesse all’importo di diecimila euro, come sostenuto dalla Brambilla, quanto piuttosto alla somma di centomila euro».
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