Legge elettorale, Pdl e Lega trattano. No di Casini

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ROMA – È subito scontro sulla nuova legge elettorale. Muro contro muro tra maggioranza e opposizione, ma anche all’interno del centrodestra le posizioni tra Lega e Pdl al momento non coincidono. Non si perde d’animo il segretario azzurro Angelino Alfano, che dopo avere annunciato venerdì di voler riscrivere le norme che regolano il voto in accordo con Berlusconi ieri è tornato sul tema. Ha confermato le riunioni a partire dalla prossima settimana per studiare la bozza poi da presentare alla Lega così come i suoi pilastri: mantenimento del bipolarismo, premier e parlamentari scelti dai cittadini. Alfano precisa che la voglia di riformare la legge non nasce per recuperare in coalizione l’Udc, «ma essendoci il referendum» che incombe meglio far legiferare il Parlamento (e disinnescarlo). Di più il segretario del Pdl non dice, forse per tenersi le mani libere nei futuri negoziati.
Pubblicamente Alfano dai suoi incassa solo applausi (anche da Formigoni), ma chi non ci sta è il corteggiato (nonostante le smentite) Pier Ferdinando Casini. «Non perdiamo tempo in buffonate e discussioni inutili sulla legge elettorale quando il rischio Grecia sembra concretizzarsi», dice il leader centrista. «Per noi – aggiunge – bisogna chiudere con il bipolarismo che ha dimostrato di fare solo danni». Sbattono la porta anche Idv (si vogliono fare una legge su misura, accusa) e Pd. Enrico Letta, vice di Bersani, si dice pronto a ragionare, ma boccia una legge elettorale solo per tenere in piedi il governo portandoci dentro Casini in cambio di una riforma che gli piaccia. L’unico a gioire è Arturo Parisi, coordinatore del referendum: «È stato il pungolo» per imporre il tema nell’agenda politica.
Il Pdl tira dritto e Osvaldo Napoli avverte i naviganti che «o si fa la riforma o si vota nel 2012 visto che la maggior parte dei parlamentari è contraria al ritorno del Mattarellum». Se Michela Biancofiore plaude al ritorno delle preferenze adombrato da Alfano (parlamentari scelti dagli elettori), a microfoni spenti molti pidiellini assicurano che non passeranno mai. I deputati non le vogliono. E infatti chi nel Pdl sta lavorando al progetto di riforma insieme ad Alfano parla di nuovi collegi uninominali molto piccoli (qui starebbe il passo avanti rispetto ai parlamentari scelti dai partiti) accompagnati da una lista proporzionale. Aggiunge l’ex An Andrea Augello (Pdl), tra i primissimi a chiedere la riforma elettorale, che «ci vorrebbero anche le primarie per legge» in modo da legare i partiti a una colazione un anno prima del voto.
Ma i progetti del Pdl devono fare i conti con la Lega. Innanzitutto per il Carroccio prima si approva la riforma costituzionale di Calderoli – quella che taglia i parlamentari e crea il Senato federale – e poi si fa una legge elettorale coerente. Per arrivarci, è il paletto di via Bellerio, «ci vuole almeno un anno, fare la legge elettorale prima non ha senso, è solo un modo per blandire Casini e tenere buoni gli scontenti del Pdl». Nel Pdl c’è però chi confida in un rapido accordo sul nuovo Senato per bypassare la riforma costituzionale. Ma i vertici del Carroccio non ci stanno, dicono che «se voi fare subito la legge elettorale non credi nelle riforme» (e quindi non val la pena restare al governo) e dicono che «quando abbiamo chiesto al Pdl cosa avessero in mente per riformare il voto non hanno nemmeno saputo risponderci». Non a caso in via Bellerio si racconta che mercoledì scorso durante il vertice di maggioranza sarebbero stati Bossi e il suo stato maggiore a indicare a Berlusconi la direzione da prendere sul sistema di voto. Calderoli ha pronte tre alternative (ispirate dai sistemi spagnolo, tedesco e dal provincellum), ma in assoluto per i padani «è quella simil-tedesca ad avere più possibilità  di passare» visto che «può andare bene sia al Pd che all’Udc». Si parla di 50% di collegi uninominali (con l’indicazione del premier) e 50% di eletti sulla lista (per andare incontro a Casini) con uno sbarramento al 4%. Proprio i contenuti ora allo studio nel Pdl. Al Carroccio non piacciono invece le primarie per legge, giudicate «una scemenza».


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