Legge elettorale, le resistenze della Lega

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ROMA — Un nuovo sistema elettorale, ha promesso il segretario del Pdl Angelino Alfano. Sì, ma quale? E soprattutto su cosa converge tutta la maggioranza? «Siamo ancora ai preliminari, ma non siamo distanti», dice il vicecapogruppo del Pdl al Senato, Gaetano Quagliariello. «Questa settimana se ne discute all’interno della coalizione, e poi con gli altri, Udc, naturalmente compresa». Ci si orienta verso il sistema spagnolo. Si tratta di un sistema su base proporzionale ma che ha un esito maggioritario. Insomma una specie di quadratura del cerchio. Ciò grazie a circoscrizioni elettorali piuttosto piccole, grosso modo provinciali, che eleggono pochissimi deputati (da cinque a sette). In pratica vengono eletti i candidati che hanno un forte radicamento territoriale in grado di aggiudicarsi dal 15 al 20 per cento dei voti locali, come bene sanno i baschi e i catalani. Poiché non c’è il calcolo dei resti, il sistema assicura una stabilità  «maggioritaria». Una soluzione del genere, a prima vista, potrebbe star bene alla Lega. Umberto Bossi ha detto ieri che la Lega «non sa niente» della proposta di Alfano, ma che comunque «ha le idee chiare». La posizione del Carroccio è che si cambierà  la legge elettorale solo dopo l’approvazione della grande riforma istituzionale presentata dal ministro Roberto Calderoli. «Poiché si modificherà  l’attuale bicameralismo perfetto tra Camera e Senato», dicono sia gli uomini di Calderoli sia quelli del capogruppo Marco Reguzzoni. Ma adesso che si fa più concreta l’ipotesi del referendum, l’esigenza di cambiare la legge attuale diventa forse più stringente. Quanto al merito del problema la Lega preferirebbe un sistema misto spagnolo-tedesco (proporzionale con sbarramento nazionale al 4 per cento, come richiesto sulla sponda dell’opposizione dall’Udc). Il sistema spagnolo secco potrebbe, tra l’altro, frenare la penetrazione della Lega in Emilia e in Toscana.

Il sistema spagnolo — così come lo pensa il Pdl — dovrebbe avere in ogni caso un correttivo che ieri è stato anticipato da Ignazio La Russa: «e cioè che vince la coalizione che ha un voto in più e non come è avvenuto in passato e come magari piace alla sinistra che vince chi non ottiene la maggioranza dei voti».

E l’Udc? Per il momento ha risposto picche (con il sistema spagnolo potrebbe essere rappresentata solo in Sicilia). Ma bisogna vedere se nella prospettiva post-berlusconiana di un partito del centrodestra modellato sul Ppe europeo, Casini sarà  interno (e non esterno) alla partita. In questo caso, il modello della vicina Spagna si mostrerebbe funzionale anche per il leader dei centristi. Nel Pdl in ogni caso non sono preoccupati dei tempi. Peppino Calderisi, il tecnico dei sistemi elettorali, ricorda che nel 2005 «proprio di questi tempi a settembre, Casini, presidente della Camera riuscì a far votare la riforma del Mattarellum in meno di un mese».


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