Le telefonate che fanno paura al premier

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Non s’era mai letta, pur in tanti anni di succose intercettazioni su di lui, e di “guerra” con lui per mettere il bavaglio alla stampa, una lettera autografa del Cavaliere per fermarle. Adesso è lì, a Montecitorio. Firmata: Silvio Berlusconi. È l’ultimo atto dello strano caso del “Signor B.”. Il suo tentativo disperato, e a sorpresa, per evitare che escano tutte le conversazioni che lo riguardano.
Quelle di Bari in primis. Missiva consegnata a mano il primo settembre, giusto quando esplode l’inchiesta di Napoli. E lui si rende conto che quelle telefonate costringeranno la procura di Bari a tirar fuori, finalmente, anche le sue con Tarantini.
Ufficialmente, la richiesta alla Camera serve per il processo Ruby. Ma è la mossa in extremis per stoppare quelle del caso D’Addario, le escort pugliesi portate a palazzo Grazioli e a villa Certosa. Quelle in cui Tarantini e Berlusconi parlano delle «puttane». Conversazioni annunciate come «terrificanti». Lo dice lo stesso Tarantini al giornalista-faccendiere Lavitola il 2 luglio. Sono «una bomba» ripete il 14. «Sta per uscire la bomba» insiste il 17. Invece niente. Le telefonate esplosive non escono, si rinvia di giorno in giorno. Volutamente ritardate per mesi per trascriverle e depositarle, poi segretate dal procuratore di Bari Antonio Laudati che le riceve il 23 giugno. Che ne ordina «il deposito presso il suo ufficio», come denuncia al Csm il pm Pino Scelsi, titolare dell’inchiesta sulla D’Addario. Telefonate che, come dice il 5 luglio Tarantini a Lavitola, riguardano ragazze «coinvolte a Milano» e «confermano il fatto che erano puttane». E dunque «il favoreggiamento della prostituzione ci sta» si dicono i due il 5 luglio. Ci sta anche per il premier, se egli era al corrente che erano «puttane» e ne discuteva al telefono con il procacciatore Tarantini. Quegli atti di Bari, visto che alcune protagoniste sono le stesse, potrebbero finire a Milano e saldare il processo pugliese con quello di Ruby.
Dunque uno, fondamentale, prioritario, vitale è l’obiettivo del premier, che solo ora si muove su Milano mentre avrebbe potuto farlo da mesi. Ormai con l’acqua alla gola, punta a creare il precedente per bloccare poi, con lo stesso sistema, l’uso delle intercettazioni di Bari, dimostrare che esse sono state raccolte abusivamente dai pm, che hanno aggirato e violato l’articolo 68 della Costituzione. Sentire le ragazze, sentire Tarantini, per spiare in realtà  la vita del premier. Utilizzare i nastri, sbatterli nelle ordinanze di custodia cautelare, a Milano come a Napoli come a Bari, senza chiedere l’autorizzazione alla Camera.
È qui lo strano caso del “signor B.” Che tenta di dire «basta» e pone un aut aut ai colleghi deputati. Lo dice per Milano, mentre sta per uscire, se il procuratore Laudati la licenzia, la «bomba» di Bari. Mentre lui stesso rischia di essere incriminato per lo stesso reato che scontano quelli che lo facevano «scopare» («L’unica cosa che possono dire di me è che scopo…» dice il premier a Lavitola 13 luglio). Solo un decreto legge, a cui Berlusconi già  pensa, gli permetterebbe di bloccare l’uscita sui giornali delle telefonate. Col rischio che Napolitano lo fermi. Come ha sempre fatto in questi anni. E prima di lui Ciampi. Ma può mettere una zeppa. Costringere i pm ad espungere gli ascolti dal processo. Magari ricorrere alla Consulta sollevando un nuovo conflitto, questa volta sulla violazione delle tutele parlamentari.
Un fatto è documentato. La segretazione fino a oggi delle telefonate di Bari. Il ritardo nel chiudere l’inchiesta Tarantini. Tutto ciò ha una spiegazione. Stiamo attenti alle date: giugno-luglio di quest’anno. Quando a Milano si tengono le prime udienze del processo Ruby, il 31 maggio, il 14 giugno, il 18 luglio, in attesa – e nella speranza – che la Corte costituzionale, quanto prima, dichiari la competenza del tribunale dei ministri, tolga il processo a Milano, si cancellino tutti gli atti. In quei giorni, è una coincidenza documentata, Laudati fa depositare «presso il suo ufficio», scrive Scelsi, le intercettazioni. Occhio ai comportamenti del capo della procura che, dice sempre l’ormai ex pm, non consente a lui e ai colleghi «una preventiva lettura dell’informativa della Gdf» neppure prima di una riunione di coordinamento convocata per il 27 giugno, tre giorni prima che lo stesso Scelsi se ne vada in procura generale. Laudati blinda le telefonate nel suo ufficio. Tant’è che Scelsi scrive nell’esposto al Csm: «Con la richiesta del 21 giugno ha di fatto avocato a sé la consegna dell’informativa della Gdf sul procedimento 9322/09 (quello escort-D’Addario), trasferendo su di sé, in qualità  di dirigente dell’ufficio, la naturale interlocuzione che le norme processuali e l’interpretazione che il Csm ne ha dato riconoscono a ogni singolo sostituto delegato alle indagini nei suoi rapporti con la polizia giudiziaria». È il procuratore che ha un rapporto strettissimo con la Gdf. Che ha costruito la sua “squadretta”. I cui ufficiali, come Antonio Cecere Quintavalle, comandante del nucleo di polizia tributaria di Bari, sono al corrente, come se si trattasse di una cosa normale e arrivano a dirlo ai pm Scelsi e Pontassuglia, che la direttiva è quella di “frenare” sul caso D’Addario: «Ma non si era detto che (questa inchiesta, ndr.) bisognava lasciarla un po’ da parte?». Lo scrive Scelsi al Csm e ai vertici della magistratura di Bari e d’Italia.
Chi «lo ha detto»? E perché «lo ha detto»? E a chi «lo ha detto»? E con quale obiettivo «lo ha detto»? E perché, effettivamente, per fatti che sono accaduti nel 2008, le «scopate» di Berlusconi a Roma e in Sardegna, per un’indagine esplosa a Bari un anno dopo, siamo ancora qui, nel settembre del 2011, a voler conoscere quelle intercettazioni in cui, a quanto dice Tarantini a Lavitola il 5 luglio, «le ragazze mi dicono che hanno ricevuto soldi da lui»?. L’interrogativo è giudiziario e politico. L’uno e l’altro. Il primo: leggere quelle telefonate, e capire, e decidere, se per Berlusconi è configurabile il reato di favoreggiamento della prostituzione. A Bari come a Milano. Il secondo: può un presidente del Consiglio, sul quale incombe e poi cade addosso il reato di prostituzione, continuare a fare quello che sta facendo. Governare il Paese e rappresentarlo nel mondo.
Se il quadro è questo, e le carte dimostrano che è questo, allora c’è più di un motivo per ritardare l’uscita delle carte di Bari. Per questo, dal suo arrivo nel capoluogo pugliese, Scelsi fa capire che “lavori” il procuratore Laudati. Lo nomina il Csm il 30 aprile. Lui in via Arenula è il direttore generale della giustizia penale. Il Guardasigilli Alfano commenta entusiasta: «Gli avevo proposto di diventare rappresentante italiano ad Eurojust, ma ha scelto di rimanere in trincea e guidare un’importante procura». S’insedia l’8 settembre 2009. Due giorni dopo dichiara: «Da quello che viene pubblicato sui giornali è di tutta evidenza che il presidente del Consiglio Berlusconi è assolutamente fuori da qualsiasi responsabilità  penale». I quotidiani riportavano i verbali di Tarantini. Il quale, a telefono con Lavitola il 5 luglio, dice: «Lui ha detto che il suo ruolo è fallito là . Hai capito, perché lui era convinto, ti ricordi, di archiviarla». L’inchiesta, è ovvio. Lavitola di rimando: «Sissignore, il suo ruolo è fallito, ma nelle intercettazioni trascritte non ci sta scritto…». Tarantini lo blocca: «No, lui dice che si evince chiaramente che c’è il reato di favoreggiamento».
È il 5 luglio. Dalla sua stanza di pm a Bari, di pm che ha seguito il caso Tarantini, Scelsi se n’è andato da cinque giorni. Ha consegnato le chiavi «della stanza e della cassaforte» senza leggere l’informativa della Gdf in cui ci sono le intercettazioni tra Tarantini e Berlusconi. Che è rimasta chiusa nella stanza del procuratore. Il quale non gliel’ha fatta vedere ma, a quanto riferisce Tarantini, ne ha parlato diffusamente con altri. Scelsi, a luglio, ha rivelato in una lettera ironica ma pesante quanto avveniva. Nessuno si è mosso. Fino a oggi. Né il Csm, né il pg della Cassazione che fa parte del Csm, né (ovviamente) il ministro della Giustizia. Le intercettazioni sulle «puttane» di Bari finora hanno dormito tranquille nel cassetto di Laudati. Quello che ha fatto in modo, dice sempre Tarantini a Lavitola il 17 luglio, di «non mandare l’avviso di conclusione così non diventano pubbliche». Adesso, mentre Berlusconi invoca il suo diritto di parlamentare per fermare tutto, è tempo – e ce ne sono gli strumenti – per scoprire chi è colpevole dei ritardi. E per quale squadra ha giocato. Se quella dello Stato o quella degli imputati. Prima che Berlusconi se ne inventi un’altra per mandare al macero quelle telefonate.


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